Sicilia preistoria - Sicilia e Siciliani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Sicilia
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Sicilia preistoria

La Sicilia, nel corso dei secoli, ha vissuto innumerevoli dominazioni, che hanno lasciato profondi segni nel tessuto culturale e sociale degli abitanti.
I primi insediamenti di una popolazione locale in Sicilia, risalgano al Paleolitico, come dimostrano i graffiti ritrovati all’interno delle grotte dell’Addaura, di S.Teodoro e di Levanzo. Proprio i graffiti dell’Addaura sono quelli di particolare pregio e raffinatezza.
L’età del Bronzo in Sicilia
Nell’età del Bronzo in Sicilia fecero la loro comparsa i primi villaggi.
I villaggi erano costruiti seguendo una forma ovale e situati vicino a dei fossati, i quali difendevano il villaggio dagli attacchi nemici. Lo stile di vita della popolazione di quel tempo divenne sedentaria e accanto alla caccia si diffusero l’agricoltura e l’allevamento.
In questo periodo assunse una notevole importanza il culto religioso, tanto vero che si incominciarono a costruire le prime tombe scavate nella roccia. Alcune di queste tombe sono ancora oggi visibili, all’interno delle necropoli di Monte Sant’Ippolito a Caltagirone, Ibla, Angio e Palagonia.
Senza alcun dubbio i primi insediamenti di una certa importanza in Sicilia, risalgano all’anno 1000 a.C  quando I Sicani, i Siculi e gli Elimi si insediarono sull’isola.
Secondo lo storico Tucidide, ad approdare per primi nelle coste siciliane furono i Sicani, una popolazione proveniente dalla penisola iberica.
Tuttavia, nuovi colonizzatori approdarono ben presto in Sicilia come i Fenici, anche se utilizzarono l’isola solo come scalo commerciale.
BRONZO MEDIO

Contents lists available at ScienceDirectJournal of Archaeological Science: Reports
il ritrovamento risale 4/07/2015Journal of archaeological scienza: Cronache





Geofisico friulano scopre monolite di novemila anni
di Luana de Francisco07 Agosto 2015
Il ritrovamento è avvenuto sul fondale del Canale di Sicilia, a 40 metri di profondità e a 60 chilometri dalla costa.
Emanuele Lodolo, di Mortegliano, ha guidato la spedizione subacquea organizzata dall’Ogs di Trieste
MORTEGLIANO. È una scoperta in grado di scompaginare i libri di storia. Quella antica, anzi antichissima. Roba da scomodare finanche il “Washington Post”, che dall’altro capo del mondo non ha esitato a comporre un numero di telefono friulano pur di saperne di più.
Già, perchè a individuare, filmare e mappare, per la prima volta, un sito archeologico sommerso nel canale di Sicilia e risalente a più di 9500 anni fa è stato un geofisico marino di Mortegliano.
Si chiama Emanuele Lodolo, ha 53 anni, lavora all’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (Ogs) di Trieste e da qualche settimana, sul suo curriculum, vanta una pubblicazione anche sul “Journal of archaeological science: reports”, la più prestigiosa rivista di archeologia in campo internazionale.
Un autentico “imprimatur” allo straordinario risultato ottenuto in anni di ricerche nel mar Mediterraneo.
La svolta è arrivata lo scorso settembre, con il ritrovamento di un monolito lungo 12 metri, adagiato sul fondale, a una quarantina di metri di profondità e una sessantina dalla costa.
Non un “menhir” qualsiasi, ma un blocco di pietra lavorato, con una serie di fori regolari su alcuni dei suoi lati e un altro foro che lo attraversa per intero in una sua estremità. Quando se lo sono ritrovato davanti, i sub della “Global underwater explorers” Francesco Spaggiari e Fabio Leonardi hanno stentato a credere ai loro occhi.
E, una volta a galla, hanno urlato di gioia insieme a tutto il resto del team: quel parallelepipedo rappresentava (e rappresenta) esattamente ciò che stavano cercando. La conferma alla montagna di rilievi che i geologi dell’Ogs conducono con incrollabile fiducia dal 2009, quando iniziarono le osservazioni a bordo della nave “Ogs-Explora”. Ora, al posto delle ipotesi c’è una certezza granitica.
Un macigno pesante una dozzina di tonnellate almeno.
È lo stesso Lodolo a riferirlo sulla “Bibbia” dell’archeologia mondiale: il rinvenimento del monolito testimonia la presenza in quel lembo del Mediterraneo di un insediamento, e quindi di una civiltà, databile al Mesolitico, quando il livello globale del mare era più basso di oltre 40 metri.
I dati dimostrano, cioè, che già a quell’epoca l’uomo aveva occupato alcune isole che, sino a circa 9000 anni fa, punteggiavano il settore nord-occidentale del canale di Sicilia. L’arcipelago, che un tempo si estendeva tra le coste della Sicilia e l’isola di Pantelleria, fu progressivamente inghiottito dall’innalzamento del mare, seguito allo scioglimento della calotta di ghiaccio che copriva buona parte dell’odierna Europa settentrionale durante l’ultimo massimo glaciale (18000 anni fa).
Affermazioni, le sue, capaci di rimbalzare da un sito all’altro della stampa specializzata internazionale alla velocità della luce.
Condotta in collaborazione con l’università di Tel Aviv e con l’Arma dei carabinieri, la ricerca ha dunque il merito di avere portato alla luce uno dei siti sommersi più antichi sino a oggi conosciuti, coevo nientedimeno che alle strutture di Göbekli Tepe, in Turchia, il primo esempio noto di “tempio in pietra”.
A certificarlo, ovviamente, è la marea di analisi effettuate su ciascuno dei dati raccolti: batimetria ad alta risoluzione, campionamenti, osservazioni fotografiche e video. Dati che, messi a confronto con l’andamento della variazione del livello del mare, hanno permesso di ricostruire la storia dell’abbandono del sito.
Avvenuta, si badi bene, qualcosa come 9500 anni fa. Le sorprese, comunque, non sono affatto terminate e i primi a scommetterci, carte alla mano, sono i blasonatissimi esploratori degli abissi targati Fvg.
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