Tempio Domenico
Domenico Tempio
testo a cura di Alfio Di Mauro
Domenico Tempio nacque a Catania il 22 agosto 1750. Terzo figlio di sette e secondo maschio , nacque da Giuseppe e da Apollonia Arcidiacono.
Il padre lo aveva forse destinato al sacerdozio e lo fece entrare in seminario , a quel tempo era retto da Monsignor Ventimiglia, dove compì gli studi classici. Attorno al 1773 sembra esserne uscito senza aver preso i voti, cacciato per aver scritto dei versi in toscano contro i responsabili del seminario stesso. Sempre nel 1773, il 20 luglio, venne ammesso all'Accademia dei Palladi (assunse il pseudonimo di Aurisco Galeante). Si ritiene facesse parte pure dell'Accademia degli Etnei. A favore di tale circostanza depongono due eventi: vi recitò nel 1775 V Odi saffica supra la necessità d'ogni beni, e il fatto che il principe Ignazio di Biscari era a capo non solo dell'Accademia dei Palladi, ma anche di quella degli Etnei: se l'aristocratico aveva accettato Tempio quale membro della prima Accademia, buon senso vuole che gli permise di partecipare pure alla seconda.
Il 1786 sembra sia stato l'anno in cui si sposò con Francesca Longo, la quale morì di parto l'anno successivo mettendo alla luce la figlia Apollonia, anch'ella morta poco tempo dopo.
Il 25 aprile 1791 venne nominato notaio del casale di Valcorrente, ma forse non esercitò mai la professione.
Sempre nel 1791 il poeta fu nominato barone dal principe Ignazio di Biscari, il quale gli donò pure dei terreni sempre nella zona di Valcorrente (fra Belpasso e Paterno).
Nel 1803, divenne padre di Pasquale (morto nel 1893), avuto da Caterina, colei che funse da balia per la figlia Apollonia per il poco tempo che visse. Il figlio fu legittimato, in seguito, nel 1818,
essendo nato fuori dal matrimonio: la considerazione si ricollega anche al fatto che a Catania è presente la discendenza.
Non risultano altre donne nella vita del poeta, anche se il "mito" popolare lo vuole da sempre un "libertino".
Nel febbraio 1806 entrò a far parte dell'Accademia dei Trasformati di Noto (con il nome di Melanconico).
Fu docente presso l'Ateneo di Catania.
La mancanza di fortuna propizia lo costrinse a condurre un'esistenza grama e visse dell'aiuto che gli venne elargito da amici (religiosi e aristocratici). Nel 1819 sembra che gli venisse assegnata una pensione da parte del comune di Catania. In precedenza gli erano state assegnate due sovvenzioni, di cui una a carico della mensa vescovile e l'altra a valere sul Monte di pietà. Tempio morì il 4 febbraio 1820 a Catania. Come riferisce il pronipote Antonio D.Tempio, egli venne sepolto con onori cittadini all'interno della chiesa di San Giovanni, ma, a seguito di un bombardamento nel corso del secondo conflitto mondiale che distrusse il luogo del riposo eterno, peraltro mai più ricostruito, le sue ossa sono confluite nell'ossuario comune del cimitero catanese: il poeta, dunque, non ha una propria tomba.
Per quanto riguarda la produzione letteraria, si indica la seguente cronologia.
Intorno al 1773 sembra abbia scritto La Truncetteide.
Al 1774 dovrebbero risalire Gli amanti delusi e La scerra di li numi.
Nel 1775, come indicato sopra, recitò VOdi saffica supra la necessità d'ogni beni presso
l'Accademia degli Etnei.
Al 1777 risalirebbe la prima stesura de LuJaci inpritisa (altre stesure nel 1790 e nell812).Al 1781 dovrebbe appartenere La 'Mbrugghiereidi.
Nel 1789 apparve, pubblicato in un testo dell'Accademia degli Etnei, il Ditirammu secunnu. Nello stesso anno sembra abbia scritto Li Vasuni.
Al 1798 risalirebbe la prima stesura de Li pauni e li nuzzi (successiva stesura nel 1801). Allo stesso anno dovrebbe appartenere pure Lu cuntrastu mauru.
Il 1798 è l'anno al quale risale l'inizio de La Carestia, ispirata alla sommossa popolare che ebbe luogo nella città di Catania poco prima.
Alla fine degli anni Novanta del Settecento dovrebbe appartenere YOdi Supra l'Ignuranza. Nel 1800 venne scritto il Ditirammuprimu, come risulta dalla stessa lettera del 24-6- 1800.
Al 1801 risalirebbe La paci di Marcuni. Nel 1806 (o poco dopo) produsse Lu veru piaciri. Al 1807 appartengono le Ottavi recitati in occasioni d'una cicalata nell 'annu 1807. Nel 1807/8 scrisse La Maldicenza Sconfitta A lu Signuri Baruni D. Paulu Perramutu Capitanu Giustizieri di Cataniapri l'annuMDCCCVII, MDCCCVIII. Al 1809 dovrebbe risalire La Girasa.
Nel 1810 avrebbe scritto Amuri vindicatu, ma prima ancora si ha una versione differente dal titolo Tatù alliccafaudi.
Nel 1811 scrisse YOdi a Baccu in occasioni di la carestia di vinu dell 'annu 1811.
Sul finire del 1813 sembra abbia scritto La fera in cuntrastu. Allo stesso anno deve risalire il Sunettu a Monsignor Deodati, morto il 23 ottobre dello stesso anno, come annotò don Francesco Strano.
Al 1813, inoltre, sarebbe da attribuirsi la redazione di Ad un SS. Crucifìssu situatu ntra la Sala d'una Casa Magnatizia, scritto a seguito della sconfitta
elettorale del duca Carcaci, e dell'ode Li funerali di lu libru russu.
Fra il 1815 e il 1816 sarebbe da collocare la redazione della favola La Libertà, quale conseguenza poetica dello scioglimento del parlamento siciliano operato da Ferdinando IV con atto impositivo. Tutte queste opere, sono sconosciute ai più, mentre egli fu notissimo nell'ambiente cittadino e pure isolano come autore "sporcaccione" per aver scritto dei testi erotici dalla manifesta oscenità, i quali hanno visto la pubblicazione in via postuma solo quasi cinquantanni dopo la sua morte. Sebbene sia ad essi che deve tuttora la fama, fu in realtà autore dotato di un certo spessore. Molti degli studi critici condotti a partire dalla seconda metà dell'Ottocento fino ai giorni nostri hanno, invece, quasi sempre teso a negare tale dimensione: è stata quasi una sorta di "persecuzione", operata tralasciando l'evidente fatto che l'erotismo non fu di sicuro suo esclusivo appannaggio, ma che altri scrittori.
Il risultato ultimo è stato quello di avere messo Tempio in ombra all'interno del panorama letterario siciliano e italiano di tutti i tempi.
Egli scrisse solo in versi, mai in prosa, non pochi componimenti vennero scritti nell' "italiano" del tempo.
la maggiore opera scritta da Tempio tra il 1798 e il 18211, La Carestia, raccoglie al proprio interno la capacità espressiva del poeta: essa contiene le diverse formulazioni riscontrabili negli altri componimenti del poeta, erotici e non. Tra le varie vi si ritrovano le formule della satira, della parodia, del grottesco, della caricatura, dell'ironia, del mostruoso e del bello, protesta sociale e politica, invettive, spunti filosofici, polemica letteraria, l'aspetto lessicale, registri letterari differenti (anteprime veriste, pre-romantiche, neoclassiche e novecentesche, seppur inconsapevoli, reminescenze arcadiche e classicistiche, ecc.), richiami mitologici, biblici e storici, ecc.
Cfr. S. Camilleri, Domenico Tempio, Boemi, Catania, 2002, p. 70.
La Carestia, dimostra, per l'appunto, la capacità dell'autore catanese di non essere monocorde e di sapere, invece, modulare la manifestazione erotica stessa, non più consistente esclusivamente nelle rappresentazioni crude. Al contrario, egli scrisse di tale argomento anche in modo velato, per metafore, con ironia, e veicolò ugualmente determinati concetti e sintomi.
La Carestia è un componimento in cui traspaiono le descrizioni drammatiche con protagonista il popolo.
Non è l'erotismo, a trasparire dal poema. Il carattere che invece si evidenzia è la sua dimensione sociale e politica: esso veicola, in molte strofe, toni di polemica in varie direzioni, in primis 1 iniqua legislazione che non proteggeva il popolo dai soprusi del potere; Tuttavia, certi versi lascia spazio all'ironia.
La critica di stampo sociale parimenti riguardò, oltre ai nobili, gli ecclesiastici. Soprattutto questi furono bersagliati da Tempio.
Nella Carestia, alcuni passi evidenziano la falsità del clero e la sua indegnità, come quando, ad esempio, un monaco dice a Billonia: «ch'iu 'ntra sti toi antenatichi/trasu stu duca miu»93 ('che io dentro(a) queste tue antenatiche/entro il duca mio'). Con un gioco linguistico tra il termine "duca" e il neologismo "antenatiche", formato con evidenza dalla parole "antenati" e "natiche" e piegato al doppio senso, il poeta mostrò la lascivia del religioso. Come si vede, dunque, il poeta che non fu per nulla benevolo nei confronti del clero, di cui mise in evidenza i comportamenti scorretti, rivolse anche la polemica, contro lo stesso popolo, la critica di Tempio è nei confronti delle classi subalterne, perché prive di "carattere" a causa della perdurante ignoranza e dell'orizzonte limitato al solo immediato soddisfacimento della fame.