Francesco Fichera
Il palazzo delle poste di Siracusa,
vedi anche:https://www.antoniorandazzo.it/palazzidipregio/palazzo-poste.html
opera dell'architetto catanese Francesco Fichera, che progettò anche quello di Catania (stessa epoca, in via Etnea, poco distante da Villa Bellini), la villa di Angelo Musco alla "Barriera" e il palazzo di Giustizia della città etnea, nel '37 e finito nel '53. Immagine tratta dall'opera di Marcello Piacentini, "Francesco Fichera architetto siciliano", in “Architettura e Arti decorative”, X, giugno 1930, p. 435
(sito: http://opac.sba.uniroma3.it
Francesco Fichera (Catania, 16 giugno 1881 – 14 agosto 1950) è stato un architetto e ingegnere italiano.
Palazzo Bonaventura a Giarre
Figlio dell'ingegnere Filadelfo Fichera, autore del Giardino Bellini di Catania, conseguì la laurea in ingegneria e si diplomò in architettura. A partire dal 1914 insegnò presso l'Università di Catania dove fu docente straordinario, e poi ordinario della cattedra di disegno d’ornato e architettura elementare. All'attività didattica affiancò lo studio dell'architettura con i suoi scritti su Luigi Vanvitelli e Giovanni Battista Vaccarini. Inoltre si dedicò alla libera professione con la realizzazione di numerose opere pubbliche e private, soprattutto nella sua città natale, Catania. Allievo di Ernesto Basile, si discosterà presto del liberty con richiami neo-normanni (cfr. villa Miranda a Catania) per avvicinarsi ad uno stile più razionale. Ebbe come allievo Rosario Marletta, che usò tuttavia un linguaggio diverso.
Ha anche scritto per il teatro Acceddi senza nidu (Uccelli senza nido), un dramma scritto per la compagnia di Angelo Musco e rappresentato la prima volta a Milano nell'inverno del 1916.
Il suo archivio è conservato presso la Biblioteca del Dipartimento di architettura e urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Catania.[1]
l diagramma dell’attività di questo nobile artista è costituito da una linea retta di costante ascesa sino a raggiungere la rispondenza tra la verità del suo spirito con la verità esterna, della sua teoria con la realtà; sino a raggiungere la fusione ideale del suo mondo interno col mondo esterno. Egli ha, quindi, abbandonato la retta per lo spazio.
Alle mie ripetute sollecitazioni per avere le fotografie e le notizie relative alle sue opere più significative, da raccogliere in un medaglione per questa Rivista, egli ha risposto da parecchi anni con un cortese rifiuto, in attesa, forse, di giungere allo Edificio per il R. Istituto Commerciale in Catania, al Progetto per il R. Istituto Tecnico e il R. Liceo Scientifico in Siracusa.
Eppure, pervenuto giovanissimo alla cattedra universitaria, egli aveva da quindici anni una chiara teoria, oggi ancor viva. Così concludeva la sua prolusione:
1. "In architettura non si copia, non si riproduce, non si imita, ma si sente il tema: progettare significa versare il proprio pensiero in ispeciale attitudine, reso cioè, plastico dalla ispirazione, entro a una forma rigida derivata dalle contingente artistiche, materiali, finanziarie, scientifiche del tema. Lo spirito dell’architetto dev’essere continuamente capace di rotazione attorno all’asse fisso della sua personalità".
2. "È necessario esaltare il carattere dello scheletro costruttivo, non mascherarlo attraverso la decorazione. Come noi vogliamo che le nostre membra stiano a loro agio nei panni, così non è permesso sacrificare le membrature architettoniche entro forme che non siano a loro proprie".
3. "È necessario rimanere nella tradizione, evolvendosi: rimanere italiani".
"Bisogna dai successivi punti di vista - spostantisi secondo il cammino dell’umanità, delle civiltà - riguardare l’antico con spirito, con occhio nuovo".
"Restiamo italiani risuscitando non il passato, ma la luce del passato. il pensiero, un pensiero: ecco ciò che per lungo tempo c’è mancato in Architettura".
Questi i caposaldi del suo cammino, a cui egli ha obbedito con disciplina, sacrificando le sue prime origini didattiche, giacchè proviene da Ernesto Basile di cui ha tenuto la preziosità del particolare e la latinità del pensiero; sacrificando persino il suo nativo fervore, la ricchezza della sua sveglia fantasia, il riflesso, fin troppo manifesto in alcune sue opere, indotto dallo splendore settecentesco della città in cui è nato, vive, insegna; che ha illustrato attraverso una monografia della quale così ha detto Francesco Sapori nella Nuova Antologia: "I documenti, la bibliografia, le tavole annesse al testo, conservano a questo libro la struttura di un’opera scientifica: alla quale però l’A. aggiunge, dalla prima all’ultima pagina, la calda e musicale intonazione del suo spirito vibrante, appassionato".
Chi non conosce a fondo la Sicilia, in genere, e Catania in ispecie, e la storia tragica e appassionata di questa città, otto volte distrutta dall’Etna, bello e feroce, - ai cui piedi essa sta prona a riceversi la vita e la morte, - non si meraviglierà del contenuto tormento e della rigida disciplina a cui il Fichera ha sottoposto il suo spirito.
Alberto Colantuoni, su Il Popolo d’Italia, disse come meglio non si potrebbe di questo segreto. Egli, di ritorno dalla Sicilia, casi scriveva “ . . . . a questa gente sicula, dominata da una fatalità terrestre così immutabile e gigantesca, non si parla che per verità vaste, profonde e durature”.
Francesco Fichera ha infine trovato la sua verità, che sente ricca e animata delle stesse vibrazioni della grande verità che è ormai alta verso il meriggio nel cielo d’ltalia; e la lascia ora partire dal lido aretuside, sospiro d’Atene, perchè si unisca alle altre, che, muovendo dalle diverse regioni della nostra terra, vanno verso Roma.
Perchè indubbiamente, e per chiari segni è manifesto che l’Italia darà al mondo artistico, ancora una volta, una sintesi mediterranea.
I fermenti spirituali di questo nobile ingegno sono eguali a quelli che hanno agito sugli spiriti eletti attraverso a cui in Italia si sono andate preparando le nuove forme d’arte: ricerca di forme sintetiche; chiarezza e potenza di pensiero, raccolte in semplicità di forme; impostazione della composizione nella planimetria; espressività attraverso le masse, i rapporti di vuoto e pieno, il chiaroscuro,
Ma nello sviluppo dell’arte del Fichera questo processo spirituale è chiaramente manifesto.
Se io aggiungo - e non ce ne sarebbe bisogno - alle opere che presento le date in cui sono sorte, la esegesi della sua arte sorge automaticamente.
Palazzo delle Poste in Catania - (Ill. Da 1 a 4) - (Progettato nel 1919, ultimato il 28 ottobre 1929). - Il progetto venne informato alla pittoresca e fastosa architettura della città, rapidamente risorta dalle macerie del terremoto del 1693 che la distrusse dalle fondamenta.
È da notare in quest’opera la soluzione planimetrica costituente un ardito rivolgimento, ormai generalmente accettato e seguito rispetto al tipo tradizionale applicato meccanicamente agli edifici del genere.
Con l’antico schema distributivo il Salone del pubblico veniva posto al centro dell’edificio, e gli uffici di accettazione, smistamento, arrivo e partenza, venivano spinti alla periferia; col nuovo schema, invece, il pubblico viene ad occupare la periferia; un secondo anello concentrico viene attribuito agli uffici di smistamento, che insistono sulla Corte, in cui arriva e da cui parte il materiale postale.
Ma già nella schematica composizione della Corte è il germe del progresso.
Palazzo delle Poste in Siracusa - (Ill. Da 5 a 9) - (Progettato nel 1922, ultimato il 28 ottobre 1929). - Anche lo schema planimetrico di questo edificio corrisponde al concetto di decentrare il pubblico per andare accentrando gli uffici verso la Corte.
Si intuisce quale difficoltà si pari dinnanzi, per prima, ad un artista che debba servire un tema moderno in un ambiente in cui la sopravvivenza classica è incombente attraverso i documenti meravigliosi, e ancora affascinanti, del passato; documenti che la giacenza e la positura naturale della città tiene come imbalsamati, L’A. ha risotto felicemente il problema, immergendo nel clima classico il suo concepimento moderno: esterno ed interno.
Il palazzo ha i paramenti in pietra calcare locale, la quale conferisce agli edifici di Siracusa quel candore un pò caldo di cui tutta la città, silenziosa e bianca, si veste al sole come di una clamide, stando adagiata sui suoi quattro mari.
L’interno, ha invece, delle contenute ma vibranti policromie, delle violente note metalliche lineari, spiccanti sulla chiarissima tonalità generale dei Saloni e delle Corsie.
I particolari decorativi - pietra, legno, ferro, marmo - sono sempre animati da un aristocratico spirito derivato dal classico, talvolta direttamente - (vedi Portale d’ingresso con le Aretuse dei tondi) - da frammenti conservati nel Museo locale.
Villa Jnga in Genova - (Ill. da I0 a 17) (1924-1927). Ma più che tra le precedenti opere di grande mole e di cospicuo valore rappresentativo, il pensiero dell’Artista si va chiarendo, va appuntando meglio la sua sensibilità, attraverso lo studio di una villa privata, sorgente a Genova, sul lido di S. Francesco di Albaro, contro il mare.
Ecco le impressioni dell’A. che, giungendo a Genova s’impregna dell’ambiente.
Genova. Ottobre 1924.
1, "Appena posto piede in Genova mi viene incontro lo spirito grandioso, incombente, - vorrei dire ingombrante - di Galeazzo Alessi, il colosso che teneva un piede nel Cinquecento e l’altro nel Seicento.
Egli vide il classico a modo suo, ponendosi in un singolare punto di vista cui lo induceva il suo geniale spirito e la magnificenza e fastosità dei temi e dei mezzi. Egli era un classico fantasioso".
2. "Quale coraggio, quale grandiosità aerea è in questi vestiboli, in questi scaloni, in cui, ai robustissimi imbasamenti in marmo e pietre dure, si sovrappongono larghe distese di paramenti ad intonaco bianco, immensi voltoni lisci, spesso gettati su colonne e pilastri in marmo. La influenza toscana è in queste architetture interne ancora vivissima, per quanto enfiata dalla fastosità".
3. "Quali partiti sono stati tratti ed è possibile trarre da questa natura di terreno che vuole strapiombare sul mare, e che l’uomo per farsi posto, continuamente ricaccia indietro!
Ricacciare con maestria, con sagacia, dico. Ma oggi ciò viene fatto brutalmente: si taglia una trincea e si pianta un casermone ”.
In questi tre pensieri si riscontrano le idee tematiche della composizione architettonica, tutta tendente verso il mare. L’edificio rimane come fasciato liberamente di una classica veste, avendo rinunziato all’applicazione degli ordini, alle formali e artificiose corrispondenze: largo d’insieme, nonostante la sua piccolezza fisica; prezioso nel particolare, su cui ha influito il fervido spirito meridionale dell’A.: ma sobrio nel calmo contrasto tra le membrature principali, in pietra grigia del luogo, e il paramento generale, in intonaco bianco; chiaro nella planimetria, di puro tipo palladiano.
È il secondo pensiero che ha animato la composizione interna accentrata nella hall, in cui, al policromo pavimento in mosaico, al prezioso scalone in marmo d’Istria, si sovrappongono la teoria delle arcate semplicissime in intonaco bianco, e il voltone, anch’esso semplice e bianco.
La sagacia contenuta nel terzo pensiero ha saputo trarre dalla strapiombante piccola zona di terreno addossata all’edificio, un giardino dalle apparenze piuttosto grandiose, in cui i viali a forbice e i pianerottoli delle scale laterali sono originalmente sposati, creando un caratteristico fondale alla vista di chi sta nella hall, da cui può godersi il mare e il giardino.
Edicola funeraria nel Cimitero di Catania - (Ill. da 18 a 19) - (1926). E questo un punto caratteristico del cammino dell’artista.
Pensiero ed espressione, insieme e particolare, tradizionalismo e modernismo, risultano non più mescolati, ma intimamente combinati. Questa piccola edicola, quadrata e potente, - così nostra e così vicina alla Cuba normanna, - attraverso cui gli spiriti dei defunti invocano il conforto della preghiera dei vivi, è assai significativa.
La “Casa sulla 1ava” in Catania - (Ill. 20) - (1926-1927).
Traendo vita dalle stesse origini è germogliata, come una ginestra, la Casa Messina adagiata sulle naturali anfrattuosità della colata lavica; il concetto di adesione alla natura, al tema e al circostante ambiente, e espresso felicemente nella composizione architettonica, manifestante con disciplinata spontaneità l’organismo.
Le lievi sovrapposizioni decorative rispondono al concetto di sottolineare le strutture; le nicchie stesse hanno lo scopo di aggruppare in un trittico le luci di due ambienti contigui, di lasciar campeggiare i paramenti e grandeggiare le masse.
La peculiare posizione della Villa ha ispirato l’altana in ferro: un aereo accento sulla frase architettonica.
R. Istituto Commerciale di Catania - (Ill. da 21 a 27) - (1926-1929). È opera modernissima, animata da una serrata composizione che va diritta al suo scopo, che manifesta ed esalta la destinazione dell’edificio senza superfluità o vacuità; che si adagia perfettamente al luogo in cui sorge: una grande piazza moderna dominata dall’Etna.
Per ciò il prospetto principale è arricchito di un potente chiaroscuro derivato dall’intercolonnio ergentesi sullo imbasamento, nudo e grandioso, in pietra grigia dell’Etna; mentre i prospetti laterali, con il ritmo calmo e solenne delle paraste, richiamano subito al pensiero la visione dei fianchi dei templi dorici.
Lo schema architettonico, in pietra dell’Etna, si staglia nettamente sul fondo generale bianchissimo, in cui, come cammei, sporgono i tondi in terracotta rilevati fortemente sui campi separanti verticalmente le luci.
In questo edificio, - come oggi si vuole, - non vi è distinzione alcuna tra interno ed esterno: il concepimento è unitario, la ispirazione totalitaria è diritta: la Corte, lo Scalone, il Vestibolo, - con il vivo simbolo efebico della corsa alla mèta, - le Aule, i banchi, il mobile, obbediscono a questa fervida e sagace ispirazione per cui l’opera assume un singolare e cospicuo valore di modernità.
Ma la maturità e la personalità del Fichera si acuiscono meglio attraverso le opere minori.
Egli sente il suo passo svelto, la sua meta vicina; e, - uscito dal pelago doloroso in cui visse, lungo un anno, tragicamente -, manifesta sorridendo garbatamente le profonde verità che ha acquisito attraverso l’esperienza e lo studio costante, profondo e vasto.
La mia casa in città - (Ill. da 28 a 30)
- (Agosto 1929): “Ricco di esperienza, ma non carico di anni, costruisco la casa per me e per i miei.
“Da tale esperienza ho ricavato tre corollari:
a) di architettura non si occupa nessuno o quasi;
b) salvo dei colleghi concorrenti, che se ne occupano per scovare ciò che di brutto hai fatto ed illustrarlo ampiamente;
c) ciò che di buono hai creato è stato o suggerito o voluto dal cliente: ciò che c’è di cattivo è tuo, tutto tuo, o architetto.
E in seguito:
“...In quanto a linea mi permetto di avere ancora qualche idea; perchè c’è una radice del mio spirito ancora viva, così viva, forse perchè viene tanto da lontano, che non vuole perire; la radice della latinità, della poesia, della razza ”.
E parlando delle tendenze moderne:
“Non rumore ma melodia (noi architetti sappiamo bene che il semplice, il nudo attuale è assai spesso la facile e diretta espressione del vuoto); non tecnicismo ma genialità (si ripete quanto si è detto avanti); non caricatura ma humour. (Melodia, genialità, humour: essenze tutte di cui la nostra terra impregna i suoi ingegni rendendoli così saporosi come i suoi frutti).
“... In particolare ho messo una finestra, una porta, un incavo, dove mi servivano, tagliandoli, come gli ambienti, della ampiezza che conveniva; ho aperto un terrazzo dove mi serviva per godermi il panorama dell’Etna; ho innalzato al disopra del livello ordinario le finestre dei corridoi per servirmi della parete inferiore adattandovi i mobili; ho aggiustato la irregolarissima area del giardino creando degli sfondi speciali in rapporto ai punti di vista più importanti della casa.
“... Mi ricordo soltanto ora che c’è una composizione esterna di cui parlare.
“Non saprei parlarne tanto essa è sorta inavvedutamente attorno a un prefisso nucleo centrale, l’ingresso e la hall, per i quali esiste una pretesa di dire qualcosa.
“Il resto è muro in cui sono state stagliate le luci legate da un ritmo claustrale”.
Nello stesso stato d’animo l’artista provvede al suo rifugio in montagna, ma si rivolge a ben altre sorgenti di ispirazione.
La mia casa in campagna (Ill. da 31 a 33). - “Essa sorgerà su un cocuzzolo di lava - strapiombante sulle vigne - che l’opera edace del tempo e dell’uomo non è riuscito a dissolvere in fertile humus; un cocuzzolo sulle cui pendici faticosamente si arrampica l’agave, la ginestra e l’opunzia (che io mi guarderò bene dal molestare); da cui si domina un panorama circolare meraviglioso, al quale partecipa da vicino la collana dei vulcanelli etnei, dominati dal cratere centrale (attraverso cui la terra spinge il suo maggior respiro), e da lontano il mar di Catania (serico manto che, brontolando, continuamente si ritrae come fosse restio dal coprire la bella plaga). Ho fatto, con compiuta esperienza, ciò che hanno sempre fatto i contadini del contorno.
“Ho piantato un massello cubico a pareti strapiombanti sul cocuzzolo lavico, e al disopra di esso ho posto una corona di pilastri cinti e chiusi da una cupola: così l’abitazione, aperta sui quattro fronti, forma da base ad un terrazzo scoperto e ad una rotonda largamente sfinestrata “.
“Aiuto materno” in Catania - (Illustr. 34 e 35, Gennaio 1930). Questo piccolo edificio rappresenta, con l’Edicola funeraria, un altro punto significativo del cammino del Fichera.
Anche in questo caso la peculiarità del tema - diciamo pure la sua angustia, - induce l’artista a spogliare il suo spirito da ogni superfluità, a fare aderire perfettamente materia ed espressione, ridotte entrambe alla loro essenzialità; ma pur in questa nudità di strutture la vena melodica appare più limpida, vorrei dire più umana.
R. Istituto tecnico e R. Liceo scientifico in Siracusa - (III. da 36 a 43, Marzo 1930). Ecco l’opera di maturità.
A chi dice che l’architettura moderna non sia pervenuta a compiutezza, salvo che per dare espressione ai ricoveri per dirigibili e agli edifici industriali, basterebbe esibire questo progetto per persuaderlo del contrario; per dimostrargli che anche un tema modesto può oggi, assunto da uno spirito perfezionato, dare l’opera d’arte nobile, chiara e serena, che serve con utilità e bellezza un tema moderno, per un edificio destinato a sorgere in un clima storico, e con forme proprie ed italiane, ma che pur risentono dei più arrischiati canoni dello avanguardismo esotico.
Ecco come il Fichera, che ha sempre un suo pensiero al centro di ogni sua opera, conchiude la sua Relazione:
“Dichiaro subito che non mi sono pregiudizialmente preoccupato della forma: ho atteso che essa scaturisse limpidamente, automaticamente dalla sostanza. Ho intuito che questa fosse la migliore via da seguire per sboccare al mio fine: fare, cioè, opera semplice, sincera, organica: dirò per usare una particolare espressione oggi assai corrente: fare opera mediterranea. Il clima siracusano, che pare abbia il suo polo nel Tempio di Minerva, in cui lo spirito greco si è annidato e raccolto, e ancor vive, avendo guadagnato in potenza ciò che ha perduto in estensione, consente benissimo, forse più che ogni altro, ad uno spirito moderno di polarizzarsi e di progettare per oggi, anche per domani.
“Entro a quel sacrario vivono, ancora potenti, le caratteristiche della greca architettura: primeggiare di piani e di masse, razionalità e organicità, repugnanza alla decorazione per la decorazione; e nel vaso naturale che lo circonda: silenzio, biancore e dominio dell’orizzontale; mare e mare da tutti i lati. Ecco i fermenti locali.
“Certo non si può pensare oggi, e per quel luogo e pel nostro tema, a un muro forato o a una serie di colonne che non lasciano passare tra i vani due persone. Oggi ci vuole tutt’altro. Ma un organismo moderno può bene immergersi in quel clima. Per cui i larghi piani primeggianti nella mia composizione, che ho in primo luogo mosso in pianta, animando di un lieve chiaro-scuro il prospetto col disporre in misurata convergenza le ali. Ho creato l’ordine con la disposizione delle luci: esse si seguono in altezza secondo una grande scalea, in dipendenza degli ambienti a cui servono e del minor bisogno che si ha di sfinestrare i piani a grado a grado che si elevano.
“Ho denucleato il centro della lunga e bassa massa frontale, tendente al monotono, a mezzo del nicchione centrale che vibrerà di ombre e di luci, di decorazioni policrome e in rilievo: sarà questa la gemma centrale del serto, il cuore della composizione. Ecco l’Altare di Minerva, la cui statua dominerà, anche per i lontani naviganti, il lido aretuside, con la sua positura, la sua mole, la radiosità della sua patina dorata. Ho cercato di dare in questo mio progetto quanto era nelle mie possibilità, nella mia esperienza, nel mio amore per questa terra che Dio ha voluto singolare.
“Siccome è vero che una buona architettura fa di un ragionamento una lirica, così, pur servendo tecnicamente il tema, ha cercato di creare a specchio del mare di Sicilia, che finisce in Grecia, l’altare che la gente moderna di Siracusa erige alla sua Dea antica ed immortale: Minerva. Sul fronte di esso è riprodotto il giuramento che l’Ateniese ventenne pronunziava, prima di entrare nella vita pubblica, in presenza dei Parenti e dei Magistrati.
“Giuro di obbedire alle leggi; di rispettare i riti degli antenati; di onorare le mie armi; di non abbandonare il mio camerata nel combattimento; di combattere sino all’ultimo respiro per difendere gli altari e il suolo della patria; e di fare, infine, tutto ciò che è in me per lasciare il mio paese in migliori condizioni che non l’abbia trovato”.
“Ma se l’immagine dorata di Minerva domina dall’apice della cupola bronzea il fronte dell’edificio, dall’ingresso di questo chi entra, chi passa, circondata dalla penombra del portico, inquadrata negli stipiti dell’uscio, intravede, luminosa, la testa colossale di Ercole, formante il nucleo della Corte d’onore; all’ingiro dodici metope ripetono le sue gesta favolose”.
Ed invero la realtà corrisponde perfettamente alla teoria. L’Architettura è divenuta Poesia.
Gli è che le più opposte qualità, native ed acquisite, i germi, i riflessi delle più vivaci tendenze esotiche, e il più chiaroveggente, appassionato attaccamento alle tradizioni; teoria e pratica; forma e sostanza; fantasia e matematica, ormai si fondono e ardono tranquille nel vaso della esperienza creato con il meglio della sua vita da questo giovane Maestro siciliano Magister ex vivis lapidibus - Maestro delle pietre vive.
Così i poeti dell’evo medio chiamavano gli architetti delle cattedrali le cui membrature vibravano, insieme alle canne dei loro organi, per le solenni melodie gregoriane.
Fede. Soltanto un miracolo di fede per un ideale può consentire che insieme si compongano il tormento continuo e la perenne freschezza dello spirito e delle forze; può creare così singolare personalità in un’epoca come poche caratterizzata dai più profondi rivolgimenti sociali, dai più irreparabili smarrimenti artistici.
Roma, aprile 1930 - A. VIII
MARCELLO PIACENTINI.