ipogei Siracusa
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Siracusa è, dopo Roma, la città con il più rilevante patrimonio sotterraneo, fatto di sistemi ipogeici ed opere d’arte sotterranee, scavate ed utilizzate ininterrottamente dai primi segni di civiltà fino agli eventi della seconda guerra mondiale, quando furono adattate ed impiegate come rifugio antiaereo.
INQUADRAMENTO STORICO
Sin dai tempi preistorici Siracusa ha subìto numerose frequentazioni ma è stata la colonizzazione greca del 734 a.C. guidata da Archia di Corinto a dare maggiore sviluppo alla città. Concentrata in un primo momento nell’isola di Ortigia, cresce incessantemente spandendosi verso la terraferma, dotata di una caratteristica geomorfologica particolare, che ha agevolato, sin dal periodo greco romano, lo sfruttamento del sottosuolo, facilitando sia lo scavo delle “latomie” ipogee (cavità sotterranee per l’estrazione lapidea) sia di opere sotterranee di natura idraulica (longitudinali e verticali) come acquedotti, pozzi e cisterne realizzati per la captazione, la veicolazione e la raccolta dell’acqua. Dopo il primo semplice uso della grotta come riparo e abitazione, l’uomo, ha iniziato a scavare, modificare, ingrandire, decorare, abbellire, trasformare, scendendo sempre più a fondo, inseguendo limiti labili e indefiniti, sospesi tra arte e materia. Certamente la valenza idraulica e mineraria ha avuto un grande ruolo nell’escavazione della terra ma cunicoli e gallerie, grotte e ipogei, hanno presto giocato una funzione diversa da quella semplicemente utilitaristica, proponendo un ruolo criptico e cultuale, come la Cripta di San Marciano e il Sacello Pagano. L’evidenza antropica delle latomie ipogee e delle altre opere sotterranee ci regala un paesaggio incantevole fatto di pareti e volte lapidee, di vele cristalline, stalattiti e stalagmiti, di pozzi e acqua sorgiva, anche di piante e di giardini, spesso immortalati negli acquerelli dei dotti viaggiatori stranieri del grand tour. In Ortigia, gli ipogei erano spesso collegati tra loro, facilitando l’accesso in caso di fuga, necessità o rifugio. Nei quartieri Neapolis e Acradina, molte di queste cavità, dopo il loro abbandono, sono state reimpiegate come sepolture. Le preesistenze idrauliche hanno accolto per secoli loculi, tombe e sarcofagi, accompagnate da una cospicua quantità di pitture parietali. Dagli anni quaranta in poi i sistemi ipogeici sono stati chiusi, vietati, murati, abbandonati, divenuti pericolosi e accessibili solo con grandi difficoltà. Oggi la città riscopre questa parte misconosciuta del suo patrimonio monumentale e culturale che va tutelato e valorizzato non soltanto per esigenze pratiche di conservazione statica ma per riproporre una porzione significativa del mondo sotterraneo. Queste cavità artificiali rappresentano un complesso straordinario sulle cui pareti la stratificazione storica ci permette di leggere evidenti tracce di un passato immortalato dall’ingegno artistico di chi ci ha preceduto. La carta di sintesi con la rappresentazio ne “geolocalizzata” degli ipogei è il risultato del lavoro congiunto di varie competenze, con l’obiettivo di porre in evidenza le caratteristiche geologiche e antropiche di questo territorio. Lo stato di fatto degli ipogei è un punto di partenza per valorizzare questo immenso patrimonio attraverso la fruizione pubblica, compatibile con la conservazione del bene e l’utilizzo didattico del patrimonio sotterraneo.
NOTA GEOLOGICA
Gli aspetti geologici del territorio hanno avuto un ruolo fondamentale sulla nascita e lo sviluppo della città di Siracusa: la grande disponibilità d’acqua e la facilità nel reperimento dei materiali da costruzione sono stati fattori decisivi e linee guida della pianificazione territoriale dei nostri predecessori: “Acqua” e “Pietra”. “L’acqua” è l’elemento conduttore delle colonizzazioni che a Siracusa hanno inizio con i Greci per poi proseguire con i Romani, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni, gli Svevi, gli Spagnoli fino agli industriali italiani degli anni ‘60. Ogni cosa in Siracusa ricorda l’acqua: lo stesso etimo Siracusa deriva dal greco Suraka che significa “abbondanza d’acqua” e con il termine Syrakos veniva chiamato il fiume che attraversava la pianura alluvionale della città fino a sfociare nel Porto Piccolo. Esso scorreva anticamente dalle balze di Panagia fino al mare con direzione NW-SE con un percorso che attualmente interesserebbe approssimativamente il complesso residenziale San Giorgio - Piazza San Giovanni - Santuario Madonna delle Lacrima - Piazza della Vittoria - Viale Luigi Cadorna - Porto Piccolo, ed oramai obliterato. “L’acqua”è presente diffusamente nel sito Parco Neapolis che si trova alla terminazione del più importante sistema acquedottistico antico (Acquedotto Galermi, Acq. Para diso, Acq. Ninfeo), alimentandone le vasche ivi presenti e permettendo la costruzione ed il funzionamento dei mulini realizzati nel ‘700 (quest’area è nota anche con il nome Area dei Mulini del Galermi). “L’acqua” ha permesso la creazione di giardini e vegetazione lussureggiante. Anche l’isola di Ortigia è ricca di sorgenti e fonti naturali (chiamate nell’accezione popolare Occhi di Zivillica o Occhi di Zilica, già parzialmente interrotte durante la costruzione delle mura spagnole nel XVI secolo fuoriescono al di sotto o in corrispondenza del livello medio del mare; la presenza delle sorgenti è legata alla pendenza naturale delle fluenze e dall’altro ai sistemi di fratturazione esistenti nelle rocce, fattori entrambi che fa voriscono l’insorgenza delle acque. Tutte queste polle di acqua dolce, presenti in Ortigia e sfruttate nei secoli per l’approvvigionamento idrico, rappresentano la stupefacente terminazione di questo sistema idraulico, in parte naturale ed in parte antropico, che ha attirato colonizzatori da tutto il mondo e ha permesso l’instaurarsi di splendide civiltà attraverso i secoli e lo sfruttamento a fini commerciali dell’acqua. “Pietra”, l’altra parola chiave, è la materia prima delle latomie; l’etimo stesso latomia derivante dal greco (litos=pietra, temno=tagliare) ha insita la parola e ne ricorda l’originale significato ovvero cave di estrazione del materiale lapideo, il calcare bianco di Siracusa con cui sono state realizzate le più importanti costruzioni templari della pentapoli greca (Arthemision, Athenaion, Olympieion) ad eccezione dell’Apollonion per il quale sono stati impiegati i blocchi calcarenitici prove nienti dalle cave più antiche del Plemmirio. L’originario assetto geologico è stato in parte cancellato dall’attuale sistemazione urbana della città ed a seguito delle variazioni del livello del mare negli ultimi 2500 anni (Mirisola & Polacco, 1996) che hanno modificato fino ad occultare importanti evidenze geologiche o paleogeografiche come antiche sorgenti, linee d’impluvio delle acque superficiali o aree paludose; tuttavia parte del sottosuolo urbano si è salvato e le latomie, le catacombe, gli acquedotti, le cripte, i cunicoli, le gallerie, le cisterne, le cantine e le opere ipogeiche in genere ci permettono di conoscere il sottosuolo al di sotto della superficie topografica della città. Siracusa sorge prevalentemente su un blocco calcareo di origine sedimentaria rialzato da una serie di faglie che lo isolano dal resto del territorio circostante1, individuando così un limite geografico perfettamente circoscritto già in epoca greca con la costruzione delle mura dionigiane. Quest’altopiano roccioso nella parte sommitale mantiene un’altezza media di 80 metri e verso Est degrada sino a un’altezza di circa 10-15 m, generando una costa alta a falesia; nella zona centrale è caratterizzato da una serie di terrazzi marini quaternari (Di Grande & Raimondo, 1983). La parte del tavolato calcareo degli Iblei costituiva sino alla fine del Miocene, prima della sua emersione, un ambiente deposizionale tipico di piattaforma carbonatica, ovvero di mare basso, che ha dato luogo alla formazione delle rocce che oggi riconosciamo in affioramento nella maggior parte della Sicilia Sud-Orientale. Per effetto della tettonica si sono succedute poi varie fasi di emersione e sommersione che hanno originato la successione stratigrafica che verrà descritta di seguito e innescato la formazione di fenomeni carsici riconoscibili in tutto il tavolato calcareo. La città di Siracusa, posta nella Sicilia Sud-Orientale, sorge su un complesso carbonatico formato prevalentemente da una successione di Calcareniti mioceniche che possono raggiungere notevoli spessori, sino a 150 m, cui succedono al suo tetto nella parte sud-orientale della città (quartiere Acradina) Calcareniti e sabbie organogene quaternarie (Lentini et al., 1987). Si distinguono nella parte rialzata a nord, rocce sedimentarie di colore biancastro, che nei livelli a banchi hanno caratteristiche di resistenza alla compressione mediamente elevate - siti nei quali sorgono le latomie - rispetto a quelle che si trovano a Sud e Sud-Est, Calcareniti a Sabbie di colore giallo, prevalentemente formate da accumuli detritidi resti organogeni che hanno caratteristiche meccaniche più scadenti - nelle quali si sono sviluppate successivamente le catacombe-; l’andamento degli strati è prevalentemente orizzontale o sub orizzontale (come verrà scritto oltre). La configurazione morfologica di Ortigia è legata all’evoluzione strutturale della formazione carbonatica che la compone e che ne ha determinato la morfogenesi, il deflusso idrico superficiale e la tipologia degli insediamenti urbani succedutisi nel tempo. L’isola è un “alto strutturale” (horst) delimitato a Ovest, Sud ed Est da una scogliera modellata nei calcari e impostata sulle direttrici tettoniche principali; verso Nord la costa degrada sul mare interessata da depositi sedimentari pleistocenici più recenti, sui quali giacciono in sovrapposizione terreni di riporto. In particolare, i terreni di scavo degli ipogei sono costituiti prevalentemente da un complesso calcarenitico, con strati più o meno compatti a grana arenitica di colore biancastro alternati a livelli calcareo-marnosi “teneri” di potenza compresa tra 10 e 100 cm, più o meno intensamente fratturati di colore bianco o giallastro, geologicamente ascrivibili alla <<Formazione Monte Carrubba>> (Grasso et al., 1982). Quest’alternanza calcareo-marnosa, affiorante con spessori di circa 20 m, costituisce il substrato roccioso di tutta l’isola di Ortigia; presenta giacitura suborizzontale con lieve immersione verso Est Sud-Est compresa tra 5 e 10 gradi. Dal punto di vista strutturale la formazione è interessata da un reticolo di fratturazione coniugato ai principali sistemi tettonici, non più attivi, che interessano Ortigia, rispettivamente con direzione Nord Nord-Ovest-Sud-Sud Est, Est-Nord Est-Ovest-Sud Ovest ed Est-Ovest (Ghisetti e Vezzani, 1981). Le dislocazioni più importanti hanno “ribassato” il basamento calcareo del settore sud-orientale dell’isola. Il loro rigetto ovvero lo spostamento massimo delle faglie all’interno dell’isola, determinato con i dati disponibili, va da 4,50 a oltre 13,00 metri ed è ben evidenziato dal maggiore spessore dei terreni di copertura e, soprattutto, dalla presenza di depositi pleistocenici trasgressivi sull’alternanza calcareo-marnosa.
1 1 Per effetto della tettonica locale, è possibile riconoscere due zone d’alto strutturale (Horst): una occupa la terraferma con i quartieri citati (horst Belvedere-Siracusa o di S. Panagia), e l’altro l’isola d’Ortigia. Questi si trovano lungo un allineamento di horst Figura 1 – Veduta satellitare di Siracusa (immagine da Google earth pro) da Monte Tauro (Augusta) alla Penisola Maddalena.
DESCRIZIONE DELLA CARTA
La carta, titolata Siracusa Ipogea, nasce dal censimento e successiva classificazione dei principali sistemi ipogeici presenti nel sottosuolo di Acradina, Neapolis ed Ortigia, molti dei quali venuti alla luce durante i lavori di restauro dell’ultimo decennio, e riporta le principali risorse ipogeiche e cavità antropiche del territorio studiate, comprendenti: • latomie • acquedotti • ipogei • catacombe Riguardo all’utilizzo attuale, le risorse ipogeiche sono state distinte per colore: in rosso sono rappresentati i beni non accessibili; in giallo i beni potenzialmente accessibili, in verde i beni accessibili. Più dettagliatamente, i siti rappresentati in rosso comprendono beni documentati in bibliografia e complessi ipogeici utilizzati anche come rifugi antiaerei, in seguito obliterati o inaccessibili. Quelli in giallo sono i beni che, per motivi di manutenzione o perché ricadono in aree private, non sono al momento accessibili. Quelli di colore verde sono relativi a beni di libera fruizione ed a complessi ipogeici utilizzati anche come rifugi antiaerei. Per la realizzazione della carta sono state numerate e vettorializzate tutte le planimetrie disponibili. In seguito si sono implementate su una piattaforma GIS sovrapponendo le planimetrie su una base cartografica georiferita, la Carta Tecnica Regionale in scala 1:2.000 rispetto al sistema geografico Gauss-Boaga. Questa parte di lavoro è stata svolta utilizzando il software “Quantum GIS - open source”. L’analisi interpretativa dell’ambiente fisico - geografico della città consente di definire la presenza di un elemento di rottura topografica, che si trova in corrispondenza della linea di faglia, riconoscibile nella falesia della Balza Acradina (Fig. 1). Questo confine ideale, in realtà diventa fisico, perché divide lo spazio tra le principali opere d’escavazione a cielo aperto e sotterranee, “latomie” nella zona a nord e le “catacombe” e “ipogei” nella zona a sud. La successione delle principali latomie, da Est verso Ovest, è la seguente: Latomia dei Cappuccini, Broggi e Casale, Carratore, Santa Venera, del Paradiso (Fig. 2),
Intagliatella, Cozzo Romito, Novantieri, Bufalaro. I principali complessi catacombali sono rappresentati da: Santa Lucia, la necropoli della Vigna Cassia e San Giovanni. Nella carta spiccano anche i maggiori sistemi acquedottistici: Paradiso, Galermi e Ninfeo (Fig. 3),
che attraversano la città. Infine sul lungomare di levante, Pietralonga, è stato cartografato un gran numero d’ipogei, rilevati e studiati dall’archeologo Paolo Orsi, successivamente obliterati dagli stessi proprietari. Per quanto riguarda le catacombe, il vasto cimitero di S. Lucia (il cui toponimo è dedicato al luogo in cui è avvenuto il seppellimento della nostra patrona) (Fig. 4)
ha sfruttato al massimo le strutture preesistenti, generalmente acquedotti sotterranei. Questo cimitero, con le sue quattro regioni A, B, C, D e la complessa rete di gallerie che si sviluppano in alcuni casi a tre livelli sovrapposti, supera per la vastità quello di S. Giovanni. Dal punto di vista architettonico il complesso catacombale presenta particolarità strutturali che non sono comuni a nessuna delle altre catacombe della città. L’articolazione dei cimiteri in più regioni, in conformità a modelli romani, nasce dall’accorpamento d’ipogei di diritto privato, come l’ipogeo anonimo (Marchese G. 1996). Le gallerie si dipartono in tutte le direzioni dalla tomba della santa. Il reimpiego di un braccio d’acquedotto, nella regione B, è stato sfruttato per consentire nell’alzato l’apertura dei loculi. Il riutilizzo delle preesistenze idrauliche è presente anche nella necropoli della Vigna Cassia, divisa a sua volta in tre cimiteri: Marcia, Maggiore o San Diego e Santa Maria di Gesù. L’aspetto saliente è la presenza di un acquedotto greco, in disuso, nella regione centrale del complesso, che collega San Diego a Santa Maria di Gesù, con due diramazioni iniziali, una ad Ovest, che è quella che fa da corridoio fra i due cimiteri, e l’altra, tuttora inesplorata a Nord. Nel primo tratto l’acquedotto appare strutturalmente integro e si può percorrere per circa 40 metri dirigendosi verso la regione di Santa Lucia (Marchese 2012); ed è in quest’area che sono stati osservati tre livelli sovrapposti. Quest’antico acquedotto, che costituisce la galleria principale di Santa Maria di Gesù, si presenta con semplici ordini di loculi scavati nelle pareti rocciose. La catacomba di San Giovanni, cimitero di comunità, (Fig. 5)
fu realizzata dopo la pace costantiniana, secondo un progetto omogeneo. Una grande arteria centrale il decumanus maximus divide la catacomba in due parti: settentrionale e meridionale, ed è tagliata da nord a sud, da cinque gallerie trasversali o cardines. Un decumanus minor quasi parallelo al maximus, si svolge nella parte nord del cimitero. Nella zona meridiona le, lo spazio presenta diramazioni secondarie con numerosi ambienti, più ampli quadrangolari o circolari, molti dei quali con un chiaro riutilizzo di forme idrauliche. San Giovanni si sviluppa lungo il braccio di un acquedotto del tutto simile per caratteristica e misura a quello della Necropoli di Vigna Cassia e numerose cisterne diventano magnifiche rotonde. Numerosi ipogei d’età tardo imperiale sono stati studiati e pubblicati da Paolo Orsi tra il 1891 ed il 1920, ubicati nel margine superiore dell’Acradina orientale (Orsi, 1897). Questi sepolcri sono stati denominati “ipogei minori”, per distinguerli dai vasti cimiteri di comunità, collocati nel loro insieme tra la fine del II e il V secolo. Essi furono costruiti per accogliere nuclei familiari, gruppi d’appartenenza o membri di uno stesso gruppo sociale, ed erano in genere sepolture di diritto privato. Le caratteristiche strutturali degli ipogei minori presentano un insieme di note comuni, in quanto sono costituiti da un vano o corridoio centrale, con brevi gallerie, di 10-13 metri, che in entrambi i lati sviluppano inumazioni ad arcosolii monosomi o polisomi, cruciformi nello schema originario, che verrà modificato successivamente, alcuni di loro hanno alla fine del corridoio principale, un sarcofago scavato nella roccia, altri semplice camere rettangolari, dove si trovano le sepolture a mensa, fosse terranee e ossari con accesso sul lato Sud o Est. Gli ipogei a pianta cruciforme, con annesse sepolture ad arcosoli, hanno inizio nel III secolo, e sono comuni, come struttura architettonica, tanto a pagani come cristiani. Negli ipogei Cappuccini-San Giuliano i sepolcri costituiscono l’attuale prova della lenta sovrapposizione del primo cristianesimo nella tradizione pagana: la mancanza di titoli epigrafici e di affreschi li distingue dagli altri. In Ortigia gli ipogei minori sono stati individuati sul lungomare di Ponente o Alfeo (Nasta si, 2006) mentre, sul lungomare di Levante di rilevanza è il complesso ipogeico San Domenico. Nel complesso, i principali complessi ipogeici sono costituiti dal sistema ipogeico di Piazza Duomo e dal complesso ipogeico della Chiesa di San Francesco di Paola e Convento dei Minimi, che si collega a un altro complesso sistema ipogeico situato sotto la Chiesa di San Filippo, nel cuore dell’isola di Ortigia, oltre al nominato complesso ipogeico di San Domenico posizionato sul lungomare di levante. Il sistema ipogeico di Piazza Duomo è quello più rappresentativo e rilevato nel dettaglio in tutto il suo sviluppo sotterraneo da Top Master s.r.l. (Fig. 6).
L’ipogeo risale all’epoca greca e congiunge in senso Est-Ovest Piazza Duomo alle mura della Marina di ponente; si articola in una galleria principale, da cui si dipartono alcune gallerie minori, una del le quali si ricongiunge alla grande cisterna del Palazzo Arcivescovile. Lungo il percorso dell’ipogeo s’incontrano i resti di altri pozzi e antiche cisterne, intercettate e distrutte durante i lavori di scavo delle gallerie. Gli eventi bellici legati alla Seconda Guerra mondiale riportarono l’attenzione sui vani sotterranei individuati nel secolo precedente. In occasione del secondo conflitto mondiale, vennero predisposti dal Comitato Cittadino dell’U.N.P.A.(Unione Nazionale Protezione An tiaerea) punti di raccolta per la popolazione civile in caso di attacco. I cunicoli di Piazza Duomo risultano collegati ad un altro importantissimo sistema ipogeico localizzato al di sotto della Chiesa di San Francesco di Paola e Convento dei Minimi in via Logoteta alla Giudecca edificati nel 1705 dai Padri Minimi o Paolotti. Questo complesso monumentale, chiuso e abbandonato dal sisma del 13 dicembre 1990, è stato restaurato nel 2005/2006 con interventi di consolidamento strutturale e aperto al pubblico in occasione della 18° Giornata di Primavera (27-28 marzo 2010) organizzata dal FAI – delegazione di Siracusa nel corso della quale sono stati ammirati molti dei suoi cunicoli sotterranei. Il sistema ipogeico, che si sviluppa al di sotto di una porzione del Convento alla profondità di circa 6 m dalla superficie per un’estensione di circa 200 metri quadri, è caratterizzato da numerose digitazioni alcune delle quali con altezze massime di circa 1,70 metri e larghezza media di circa 3-4 metri. Di rilevante interesse sono le parti superiori di due cisterne contigue ancora ben intonacate e conservate mentre le parti inferiori sono state scavate e asportate. Questo percorso ipogeico inoltre si collega ad un altro complesso sistema ipogeico situato sotto la Chiesa di San Filippo, sempre alla Giudecca, formato da diversi piani utilizzati nel passato per varie forme di culto e nel quale sono presenti affreschi. All’interno di esso si trova il Pozzo di San Filippo (Fig. 7),
già noto a Jean Houel (1776) che lo descrisse e disegnò nella sua monumentale opera “Voyage pittoresque des isles Sicilie, de Malte et de Lipari”; è accessibile mediante una scala a chiocciola di età cinquecentesca che lo collega alla soprastante Chiesa. Le acque in fondo al pozzo presentano le stesse caratteristiche delle altre polluzioni del substrato di Ortigia, tra le quali quelle più conosciute sono rappresentate dal miqwè “Bagno Bianca” utilizzato per i riti di purificazione ebraica. I sistemi ipogeici di Piazza Duomo e della Chiesa di San Francesco di Paola-Convento dei Minimi hanno avuto il ruolo di rifugi antiaerei: in particolare, all’interno del “Sistema ipogeico di Logoteta” sono state rinvenute le sedute realizzate lungo i corridoi e all’interno della grande latomia attorno a contrafforti appositamente costruiti, a testimonianza del lungo periodo trascorso dalla popolazione di Ortigia. La dott.ssa Graziella Cusmano nella sua tesi “Ipogei tra storia e teatralità: riqualificazione delle sottrazioni materiche del Duomo e San Filippo” (Cusmano, 2017), analizzando gli ipogei di Siracusa e facendo riferimento alla classificazione stabilita dalla Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana basata su sette tipologie principali, li ha catalogati secondo macro categorie (es. opere idrauliche, di culto ecc.) che ne individuano la funzione, suddivise successivamente per tipologie che li distinguono per la loro forma (es. cisterna a camera singola del tipo a tholos). In fase di redazione delle schede di catalogo, gli ipogei sono stati inseriti in ordine cronologico in un apposito elenco che ne evidenzia le diverse destinazioni d’uso e le trasformazioni subite nell’arco dei secoli. Al di fuori dell’isola di Ortigia, ed esattamente nella vasta area prospiciente l’attuale viale Santa Panagia, sede fino a qualche decennio fa di un insediamento dell’aeronautica militare, sono stati costruiti durante la seconda guerra mondiale, nei primi anni ’40 del secolo scorso, depositi sotterranei di carburante, in calcestruzzo spesso alcuni metri, per una capienza di qualche migliaio di metri cubi, completamente impermeabilizzati con una copertura di ferro. Le vasche erano e sono collegate ancora oggi da una rete di gallerie sotterranee nelle quali, oltre alle tubazioni atte a trasferire, in sicurezza il carburante, hanno trovato alloggio i sistemi di ventilazione forzata, di comunicazione e di illuminazione. La delegazione FAI di Siracusa ha scelto in occasione delle giornate di Autunno 2017 questo straordinario sito, mai aperto al pubblico, chiuso e abbandonato dal 1966 sia per l’interesse storico e archeologico del sito, sia per lanciare l’idea di un possibile futuro utilizzo. Di seguito riportiamo la tabella di supporto alla lettura della carta, indicando l’ordinamento numerico riportato sulla carta (Fila classificazione, i nomi dei siti, l’accessibi lità e le tipologie CNCA.
PROPOSTA
Gran parte del patrimonio sotterraneo è stato sottoposto a numerosi sopralluoghi e ricognizioni, tuttavia per una cospicua parte non è stato possibile, finora, determinare lo stato di fatto e per questa ragione si è specificata la fonte bibliografica. Abbiamo realizzato una classifica dei beni in base alla fruizione ed all’accesso al sito, utilizzando tre diversi colori: verde, giallo, rosso in funzione rispettivamente dell’utilizzo e accessibilità totale, parziale, negata e secondo le tipologie individuate nella classificazione della Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana. Allo stato attuale, riguardo le latomie, sono fruibili solo parte della Latomia del Paradiso, all’interno del Parco Archeologico della Neapolis, e la Latomia dei Cappuccini aperta da aprile a ottobre venerdì, sabato e domenica. Le catacombe accessibili al pubblico sono quelle di San Giovanni e Santa Lucia, mentre la Necropoli di Vigna Cassia si apre solo per richiesta. Infine, gli ipogei minori di Acradina non sono visitabili, perché o di proprietà privata o chiusi o inaccessibili, mentre in Ortigia è possibile visitare il sistema ipogeico di Piazza Duomo, con ingresso dalla piazza ed uscita al passeggio della Marina, il pozzo di San Filippo accessibile dalla chiesa di san Filippo Apostolo e il miqwé in Via Alagona all’interno di una struttura alberghiera. La nostra proposta di valorizzazione parte dalla rappresentazione cartografica aggiornata di tutti i sistemi ipogeici e delle cavità artificiali che oltre ad avere valore storico culturale e quindi a costituire un tassello fondamentale per ricostruire la storia della città, possono essere in molti casi classificate come immobili con valori specifici, da tutelare ai sensi della normativa nazionale sui Beni artistici, storici, culturali e archeologici. Il patrimonio ipogeo è strumento essenziale per connettere il tessuto urbano storico a quello attuale, punto di partenza per una fruizione mirata alla conoscenza e salvaguardia del Bene, compatibile con l’utilizzo didattico e culturale del patrimonio sotterraneo Siracusano. La Carta, si configura come uno strumento a uso sia dei professionisti che si occupano di pianificazione territoriale e progettazione d’interventi che possono avere interferenze con il sottosuolo sia di chi vuole esplorarlo e riscoprirlo. Lo scopo è di conservare la memoria storica e vitale della città di Siracusa, tramandando il suo patrimonio. La fruizione degli ipogei non può prescindere però dalla loro messa in sicurezza, obiettivo perseguibile attraverso mirati in terventi di risanamento e consolidamento da sviluppare con adeguati progetti esecutivi. A base dello studio dovrà essere previsto un accurato rilievo plano-altimetrico di tipo geo-topografico-strutturale con l’obiettivo di individuare potenziali scenari di pericolosità geologica o strutture instabili ai fini della successiva valorizzazione e tutela dei beni geo-ambientali e culturali. Il gran numero di ipogei studiati e riportati su carta dimostra che la sua fruizione ad oggi è molto limitata: approfondire lo studio di questo patrimonio rafforza la memoria storica in un ambito topografico ben definito.
CONCLUSIONI
La divulgazione, l’utilizzo e lo studio potrebbero fornire i tasselli mancanti per una definitiva interpretazione del territorio. Suggeriamo percorsi virtuali che accentuano il fascino tipico dell’ambiente ipogeo, punto di partenza concreto alla scoperta della Siracusa Sotterranea. Proponiamo che le latomie e gli ipogei di Siracusa siano riqualificati e messi in sicurezza per favorire la loro naturale valorizzazione e studio, unico modo per salvaguardare e tutelare questo patrimonio culturale. Senza dimenticare che la città Aretusea è Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
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Data Ultimo Aggiornamento: Domenica 3 Marzo 2024 alle ore 10:32:41