sport siracusani
Lo sport
Lo Stato siracusano lasciava ai suoi cittadini sufficiente spazio per la cultura, gli esercizi ginnici, il pugilato, i balli, i capricci e per la ricreazione in genere. L'uomo, che si definiva libero, si identificava, oltre che nella vita pubblica e privata, nel godimento e nell'impiego del tempo libero; vedeva in quelle attività realizzarsi il compito della vita.
I giuochi costituivano la parte più interessante e proficua dell'educazione greca, perciò assunsero anche un carattere religioso; spesso furono praticati anche in occasione di cerimonie pubbliche importanti. Consistevano in certi esercizi corporali tendenti a rendere le membra dei cittadini siracusani elastiche e vigorose. Il giuoco del salto veniva praticato con grande passione sportiva, consisteva nel superare un'estensione determinata di terreno — che poteva presentare fossati e dossi — sostenendo dei pesi e spiccando un solo salto. Venivano fissati il punto d'inizio del salto e il punto di arrivo, ovvero la meta.
La lotta, altro giuoco praticato, veniva eseguita all'impiedi oppure a terra; i lottatori si presentavano nudi e unti di olio, per sfuggire alla presa dell'avversario. Consisteva nel rovesciare a terra l'antagonista e per uscirne vittoriosi bisognava essere tre volte superiori; il lottatore che nella lizza soccombeva gridava, dichiarandosi così perdente, oppure segnalava la sua sconfitta innalzando verso l'alto un' dito. I lottatori indossavano una fascia cadente dalla vita in giù, fino alle ginocchia.
Conseguenza della lotta fu il pugilato, consistente nel vibrarsi pugni in tutte le parti del corpo; colui che soccombeva, per dichiararsi perdente, doveva lasciare cadere le braccia penzoloni, oppure doveva stendersi a terra. I pugili si riparavano le tempia e le orecchie per mezzo di un berretto di cuoio e le mani venivano ricoperte dall'«himas», una sorta di guanto di cuoio rivestito di punte metalliche e squame.
Il Pancrazio, sport completo e nel quale il lottatore doveva vincere due combattimenti su tre per risultare vittorioso, consisteva in un misto di lotta libera e di pugilato; durante il combattimento gli atleti si urtavano, si davano pugni, si afferravano per la gola, si davano calci fino a quando uno dei due non chiedeva la sospensione del combattimento. Prima dell'inizio della gara, i lottatori prestavano giuramento di osservare le leggi del combattimento, presso la statua di Giove e si dovevano anche sottoporre, per la durata di dieci mesi a tutta una serie di durissimi esercizi e ad esami rigorosi, sotto la sorveglianza dei giudici, i quali nei ginnasi stabilivano se l'atleta era idoneo al combattimento.
A fine gara, l'atleta veniva portato in trionfo dagli spettatori, indossava un abito ricamato a fiori e teneva nella mano destra una palma, simbolo della vittoria, e sul capo una corona d'alloro. L'atleta vincitore nel Pancrazio riceveva dallo Stato una congrua pensione a vita e, nelle pubbliche adunanze, poteva sedere con il re e i nobili. Inoltre gli venivano dedicati templi e statue. La storia ricorda il monumento eretto presso le latomie in onore del siracusano Ligda- mys, vincitore più volte nel Pancrazio.
Altro giuoco assai in voga nella Siracusa greca era il lancio del disco. I partecipanti al giuoco vennero chiamati «discoboli»; si presentavano al pubblico, come i lottatori, unti di oli e di grassi. Vinceva colui che lanciava più lontano una placca metallica, «discos». La placca, che poteva anche essere di pietra o di legno, veniva avvolta in una correggia che a lancio effettuato rimaneva nelle mani dell'atleta. Simile al lancio del disco era il cosiddetto lancio del dardo: l'attrezzo che doveva essere lanciato aveva la forma di una bacchetta allungata o di un giavellotto; veniva lanciata per colpire un bersaglio fisso.
Nella Pentapoli greca venivano eseguite anche le corse che si svolgevano a piedi, a cavallo o con carri. Le corse erano di quattro specie: — la «stadion», la cui lunghezza del percorso non era superiore ai 125 passi; — la «diaulos», con una lunghezza doppia della precedente; — la «dolichos», consisteva in un percorso sette volte la lunghezza della prima; — la «hoplites», era una corsa nella quale gli atleti correvano armati.
C'era poi una particolare corsa, che veniva effettuata negli «hippodromos». Era la corsa ritenuta la più nobile e anche la più spericolata e veniva eseguita con carri e cavalli. L'abilità dell'«auriga» consisteva nell'evitare l'urto con gli altri carri concorrenti e nel prestare particolare attenzione nello scansare la meta, dove spesso i carri andavano a cozzare, fracassandosi, col disonore del conducente.