siracusani in armi - Storia Vittorio Lucca

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Storia araldica monete
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siracusani in armi

Siracusani in armi


Nel V sec. a.C., i siracusani potevano contare in una poderosa armata terrestre oltre che in un'ingente forza navale. L'esercito siracusano constava di fanti e cavalieri. I fanti, che erano pesantemente armati, furono detti «oplitae» e i portatori di armi leggere «peltastae»; questi ultimi seguivano nelle battaglie gli opliti.
Anticamente, l'esercito siracusano aveva per armi grossi bastoni, fionde e clave poi, con i progressi della metallurgia, vennero introdotti la spada, la lancia, il coltello, la scure e l'arco. La spada veniva portata in un fodero; era corta e ornata riccamente, dritta, larga e con punta non aguzza. II fodero, decorato con chiodi d'argento, venne appeso ad una cintura di color porpora che passava dalla spalla destra verso il lato sinistro.
La lancia era piuttosto lunga e superava di poco l'altezza di un uomo, aveva il fusto in legno di frassino e la punta di bronzo; qualche volta presentava un uncino a forma di amo. I capitani si distinguevano per il peso e la lunghezza della propria lancia.
L'arco era di legno, ornato da vari metalli preziosi e con la corda formata da crini di cavallo o di cuoio. Le frecce consistevano in pezzi di legno terminanti con una punta di ferro acuminata, a volte avvelenata. Vennero usate anche frecce infuocate, ottenute adattando alle loro punte del materiale combustibile, pece o canapa; esse producevano incendio ovunque si attaccavano con le punte. Per rendere le frecce più veloci, qualche volta furono adattate alcune penne di volatili sulla loro coda.
La cavalleria fu usata intorno al IV sec. a.C., ma il suo uso si rivelò ben presto inefficace (cfr. Pausania). Le selle non erano conosciute e al loro posto furono usati drappi di lana o vistose pelli di animali. Furono sconosciute le staffe e per montare a cavallo fu usata una specie di caviglia di legno o di ferro, posta nella parte inferiore della lancia.
I cavalli erano forti, agili, belli e fieri, leggeri, intelligenti e obbedienti; provenivano dall'Oriente, ma per essere stati allevati in Siracusa si potevano considerare siracusani; essi venivano considerati come esseri ragionevoli, amici piuttosto, e perciò trattati con amorevole dolcezza e con molti riguardi. Ai destrieri spesso furono attaccati dei carri, chiusi davanti e aperti dietro per facilitare la salita e la discesa. La loro altezza non oltrepassava la groppa dei cavalli che potevano essere due, tre, o quattro, attaccati di fronte. I carri erano piuttosto piccoli e vi si poteva stare solo in piedi.
L'uso costante dei carri, durante le battaglie, era che un guerriero conduceva i cavalli mentre l'altro combatteva.
I siracusani non conobbero l'arte di ferrare i piedi dei cavalli ma usarono soltanto le «solee», una specie di scarpe legate al piede del cavallo. Quando il carro era tirato da tre destrieri quello di mezzo era legato al timone e i due laterali volanti. Il guerriero che guidava il carro venne chiamato «auriga» e sulle sue capacità si faceva molto affidamento, soprattutto per la buona riuscita dell'azione offensiva.
I soldati di fanteria venivano difesi dall'elmo, dalla corazza e dallo scudo. L'elmo difendeva principalmente la testa ed era formato di pelle animale conciata in modo tale da presentare l'aspetto spaventevole della fiera, allo scopo di intimorire l'avversario durante il combattimento corpo a corpo. La corazza serviva per proteggere il petto e le spalle; poteva essere di lino, cuoio, rame, ferro o altro metallo. Qualche volta, il lino o il cuoio che la formavano erano coperti da maglie o squame metalliche. Assai spesso, la corazza, presentava decorazioni varie o disegni e linee incise che ne sottolineavano la muscolatura del torace; talvolta, al centro era ornata con la testa della Gorgone o da un semplice punzone.
Lo scudo era tanto lungo e largo che copriva interamente il guerriero siracusano, qualche volta, proprio per le sue dimensioni, venne usato come bara per i morti, oppure come lettiga per il trasporto dei feriti.
La cavalleria invece usava scudi piuttosto piccoli. Gli scudi erano di metallo, di legno, di cuoio o di vimini e la loro forma era tonda, ovale e, in seguito, quadrata. Spesso i siracusani usavano attaccare dei sonagli agli scudi, allo scopo di atterrire, con il loro strepitio improvviso, il nemico. Furono usati anche scudi piccoli e leggeri a mezza luna; da questi, i soldati che li portavano furono chiamati «peltastai». Le cosce vennero difese da un'armatura di metallo o di cuoio legata alla corazza.
In caso di minacce di qualche potenza nemica, intervenivano gli araldi. Il loro compito consisteva nel richiedere — mostrando un bastone di ulivo con due serpenti attorcigliati e a capo in giù, quale segno di pace e di concordia — che venissero risarcite le offese fatte; se non ottenevano l'esito desiderato piantavano nel territorio nemico una lancia, che significava dichiarazione di guerra.
È noto che i siracusani, come tutti i greci, erano assai superstiziosi: non iniziavano un combattimento senza avere prima fatto i sacrifici agli dèi; non si mettevano in marcia prima del plenilunio; chiedevano spesso pareri agli oracoli e agli indovini, ecc.
La battaglia vera e propria era un combattimento corpo a corpo. E tutto dipendeva dall'agilità e dalla destrezza con cui si manovravano le armi a disposizione. «I cocchi che formavano la sola cavalleria di quei tempi — fa notare F.S. Bruno — inutilizzavano i rispettivi cavalieri, e spesso non servivano che ad accrescere il disordine nelle truppe».
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