Anguille dell'Anapo - siracusa acqua pietra

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Anguille dell'Anapo

Contributo alla passeggiata culturale lungo il fiume Anapo di Alfio Di Mauro
LE ANGUILLE DELL' ANAPO
Nella Sicilia assetata, l' altipiano ibleo, ricco dell' acqua che scorre veloce nelle sue profonde valli, è quasi un' isola nell' isola. Un bene prezioso da sfruttare, la cui importanza non è mai sfuggita a nessuno, e sulla cui gestione si sono per secoli combattute interminabili battaglie legali fra proprietari terrieri, amministrazioni comunali, mugnai e ortolani. Alla gestione delle acque è dedicata un' ampia sezione del volume La cultura popolare - La valle dell' Anapo e il Leontinoi di Luigi Lombardo, edito dall' associazione Gal Hyblon Thukles con il contributo della Regione siciliana e dell' Unione europea. Numerosissimi erano nella zona i mulini: alcuni erano stati costruiti perfino nella zona soprastante il teatro greco di Siracusa e presso la fonte Aretusa. Henri Bresc stima che in passato era necessario un mulino per circa 400 persone: ai primi del Seicento Palazzolo Acreide aveva 6500 abitanti e ben 16 mulini. La sottrazione delle acque era frequentemente praticata e nelle infinite controversie che ne derivavano i contendenti si applicavano a minuzie veramente bizantine: i fiumi erano considerati demaniali quando erano navigabili, e i proprietari dei mulini erano tenuti a pagare il "diritto di salto", cioè una tassa per lo sfruttamento delle acque pubbliche, ma i feudatari affermavano il proprio diritto a sfruttare i fiumi le cui acque scaturivano in terreni di loro proprietà. Nel sedicesimo secolo alcuni proprietari denunciarono alle autorità il marchese don Pietro Maria Gaetani di Sortino accusandolo di avere costruito dei peritori, o inghiottitoi artificiali, attraverso cui l' acqua spariva per essere convogliata nelle saie dei mulini del marchese e per irrigare i suoi orti o per essere venduta ad altri. La strada che dalla contrada Ariette, presso la zona cimiteriale di Palazzolo, portava giù fino ai mulini della cava divenne carrozzabile verso la metà dell' Ottocento, prendendo la denominazione di "Via dei mulini": oggi porta al bellissimo mulino di Santa Lucia che è stato recentemente restauratoe fa parte del Museo del lavoro contadino di Buscemi. La maggior parte dei mulini ottenevano farina dal frumento, ma nel territorio di Sortino alcuni erano usati per molire il salnitro e ottenere così la polvere da sparo. I fiumi principali della zona - Anapo, Cassibile e Tellaro - alimentavano anche molti paratori, opifici artigianali atti a follare, cioè infeltrire, i tessuti, in particolare l' orbace ( abbraciu ). La lana veniva sottoposta a bagni di soda, o di cenere, per farla divenire serrata e compatta e ottenere in tal modo il pannolana o feltro, che era quasi impermeabile. Dopo l' unità d' Italia l' attività dei paratori si era ridotta fortemente, giacché molti tessuti venivano importati dalle industrie dell' Italia settentrionale, ma negli anni Venti del XX secolo l' orbace ritornò in auge grazie alle velleità autarchiche del regime fascista. Le acque dei fiumi iblei erano anche fonte di ricchezza grazie alla loro abbondante fauna ittica. Vi pullulavano le anguille, tra i pochi pesci d' acqua dolce presenti in Sicilia, che venivano un tempo anche allevate in stagni semi artificiali (bivieri). I contadini, dopo aver gettato nell' acqua rametti di euforbia, una pianta urticante che le obbligava a uscire dalle loro tane, le catturavano con due particolari trappole di vimini a forma di bottiglia. In mancanza di frigoriferi le anguille, e i pesci in generale, venivano conservati nelle chiusere, nasse confezionate come gabbie che venivano tenute in acqua dai pescatori e poi ripescate al momento della vendita. Le anguille erano un tempo presenti anche in altre zone dell' isola: sguazzavano perfino nei canali di Mondello e re Ferdinando di Borbone amava pescarle e nutrirsene quando nel 1799 si rifugiò a Palermo sotto l' incalzare delle truppe napoleoniche e abitò alla Palazzina Cinese con la regina Maria Carolina. Come è noto le anguille trascorrono parte della loro vita nel mare, e in alcune zone della Sicilia, per esempio a Marsala, i pescatori vanno tuttora a pesca di anguille vicino la riva quando il mare è troppo mosso per altri tipi di pesca. Nei fiumi iblei era un tempo presente anche la trota, che ha però bisogno di acqua pulita e ben ossigenata, ed era praticamente scomparsa. Negli anni Settanta, nei pressi di Palazzolo Acreide è stato attivato un impianto presso il quale si allevano due tipi di trota, iridea e fario; se nutrite in modo particolare le trote assumono il colore e il sapore del salmone (trote salmonate). La trota macrostigma è una particolare varietà locale che vive ancora allo stato naturale nelle acque del fiume Tellesimo ai piedi del monte Lauro. Il biviere di Lentini, prosciugato negli anni Trenta per combattere la malaria, era un tempo un magnifico habitat naturale. Come in tutte le aree interne dell' isola, i ragazzini in campagna si divertivano a trovare e a mangiare granchi e gamberi di fiume. Da un decennio il biviere è stato nuovamente riempito, ed è ritornato ad essere luogo privilegiato per la sosta degli uccelli migratori. Il ralunchio, un tipo di rana piuttosto grosso e muscoloso, era attivamente ricercato dai ciumaroli ("fiumaroli") della zona, perché gli si attribuivano proprietà salutari e diuretiche: secondo la credenza popolare avrebbe anche giovato ai problemi intestinali dei bambini; a quanto pare se ne trovano ancora nella zona di Scordia. In alcuni ristoranti di Lentini vengono proposti alcuni cibi davvero insoliti per la Sicilia: risotto con le rane, tinche alla stemperata, e anguille grigliate con peperoni arrostiti. Un piatto più elaborato è il pasticcio o impanata di anguilla che arrivava anche nelle mense aristocratiche. Oggi il biviere di Lentini è un' oasi naturale, e la pesca non è pertanto consentita, ma gli abitanti della zona non hanno mai comunque rinunciato all' antica consuetudine di pescare anguille e tinche nei fiumi vicini.
MARCELLA CROCE
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