Fortificazioni spagnole Siracusa
Siracusa le fortificazioni dal 500 al 1893
Il piano di incastellamento e di generale fortificazione delle città siciliane fu iniziato da Gonzalo de Cordova ma trovò la sua realizzazione sotto la reggenza del viceré Ferdinando Gonzaga. In quel tempo venne ingaggiato uno dei più noti architetti militari dell'epoca, Ferramolino da Bergamo; e venne pianificata una serie di lavori interessanti principalmente le città della costa orientale della Sicilia e, naturalmente, Palermo. "All' 11 aprile 1537 fece Don Ferrante le sue proposte. Minacciandosi una invasione turca della Sicilia ... e non potendo l'imperatore da solo ottenere tutte le spese occorrenti alla difesa, era necessario che il Parlamento non solo facesse il solito donativo dei 300.000 fiorini, ma offrisse altresì una somma per il mantenimento dei soldati... Proporre ... che, come si erano dati una volta 100.000 fiorini per fortificare Siracusa, Milazzo e Trapani, se ne dessero altrettanti per mandare a termine quei lavori. .. Furono concessi i 300.000 fiorini di donativo ordinario ... e inoltre 100.000 fiorini da erogarsi nel termine di cinque anni, esclusivamente per opere di fortificazione" ( G. Capasso). Purtroppo il sistema della fortificazione di Siracusa, cioè d'Ortigia, fu realizzato operando in massima parte la distruzione dei grandi monumenti greci che il tempo aveva risparmiato e che vennero utilizzati come cave di pietra. Venne completamente distrutta la ancora intatta scena del teatro greco; non si trattava più dell'antica scena greca ma di quella ricostruita in periodo romano; sempre nel teatro greco gli ordini superiori delle gradinate, realizzati in muratura, vennero demoliti. Uguale sorte toccò alle parti realizzate in blocchi di calcare dell'anfiteatro romano, che altrimenti, data la possanza della sua struttura, ci sarebbe arrivato del tutto integro. L'ara di lerone venne smantellata, e ne fu lasciato il solo basamento. In pratica si lasciarono intatte solo quelle parti dei monumenti greco-romani scolpite nella roccia; il resto lo si asportò. In più, nel corso delle opere di fortificazione, venne distrutto quasi tutto il tempio di Apollo: ogni blocco di pietra venne asportato e messo in opera nelle nuove mura d' Ortigia. Di contro vi è da osservare che le opere di ingegneria militare se in sé furono notevoli, non ebbero mai alcuna vera funzione e ben presto nemmeno una guarnigione le presidiò. Brydone osserverà che queste cose non debbono fare meraviglia quando di mezzo vi è il re di Spagna, ed aveva ragione.
Il piano generale di fortificazione della città realizzò due zone chiave tattiche ai due punti estremi d'Ortigia, e tutta una muraglia, scandita da grandi bastioni che la recingevano da ogni lato. Le due grandi fortezze vennero realizzate una all'imboccatura dell'isola e l'altra venne ad essere innestata sulle preesistenti strutture del castello Maniace. La prima era una grande fortezza completamente isolata e dalla terraferma e dall'isola attraverso una ingegnosa serie di canali. In tal modo questa vasta fortezza veniva ad assumere un ruolo autonomo nella difesa dell'isola ed, eventualmente, caduta questa, poteva continuare a resistere. Dalla parte di terraferma avevamo una prima opera fortificata o controscarpa, poi un primo canale, indi una nuova zona fortificata detta opera coronata, avente la funzione di rivellino. Un nuovo canale separava questa opera dalla fortezza vera e propria che protendeva dal lato di terra i due suoi grandi bastioni, il S. Michele e il Campana. Dalla parte dell'isola vene realizzato un nuovo canale, di andamento irregolare, tagliato in mezzo da un rivellino avanzato e quindi le mura cittadine vere e proprie. Nella zona del castello Maniace si procedette a una fortificazione analoga. Il castello svevo venne conservato all'interno delle nuove opere e ne assunse il ruolo di mastio. Tutt'intorno fu realizzata una muraglia, di linea più bassa che non quella delle mura sveve. Fra l'opera fortificata e il retroterra si scavò un fossato che in tal modo venne ad isolarne le fabbriche dal resto d'Ortigia. Le muraglie spagnole furono poi rimaneggiate fino ad assumere quella forma che oggi si nota, intervallate dalle grandi cannoniere, protese fin sulla punta dello scoglio. Ritornando all'ingresso d'Ortigia, piantati nell'isola, di rimpetto alla grande fortezza, che ripetiamo stava a mezzo fra questa e la terraferma, stavano due grandi bastioni la cui spigolatura è rimasta ancora a segnare la topografia del luogo anche dopo la loro demolizione (le odierne riviere Garibaldi e della Posta). I due bastioni venivano chiamati rispettivamente di S. Filippo e di S. Lucia. Dal baluardo di S. Lucia si partiva un sistema assai complesso di opere, in quanto avvenuto in più stratificazioni di fortificazioni, comprendente (dal lato dell'odierno Foro Italico) una bassa e massiccia costruzione atta ad ospitare una batteria di cannoni e la porta Marina, splendido relitto delle fortificazioni catalane. Fra la linea delle mura, ancora oggi chiaramente visibile, e il mare era una zona destinata al passeggio, la stessa che oggi, con il nome di Foro Italico, conduceva, fino a pochi anni addietro, alla Capitaneria di Porto. Questo muro andava a terminare nel bastione detto della Fontana che era nella zona compresa fra la odierna Capitaneria di porto e lo sbocco a mare della fonte Aretusa. Occorrerà dire che tutti i bastioni dei quali era munita Ortigia non erano grandi, ad eccezione dei primi due, di S. Lucia e di S. Filippo, grandissimi e di bell'architettura. Dal bastione della Fontana il muro fortificato correva fino al rivellino prospiciente il castello Maniace per continuare nell'altra sponda dell'isola, e ricongiungersi al bastione di S. Filippo, afforzato dai baluardi della Cannamela (nello spazio proteso verso il mare oggi compreso fra lo sbocco della via Privitera e l'inizio della via Nizza), della Ferraria (nella zona dove la via Vigliena termina sulla passeggiata a mare), della Gradiglia (dove è il largo S. Giovannello). Questi ultimi due bastioni si chiamarono in seguito forte di S. Giovannello e forte Vigliena. Fra i due bastioni di S. Lucia e di S. Filippo, dalla parte dell'isola era ricavata la magnifica porta reale, demolita nell'Ottocento. Questo sistema di fortificazioni venne rimaneggiato più tardi, conseguentemente al progresso della tecnica delle artiglierie; ma nella struttura generale esse non cambiarono fino al secolo XIX quando fra demolizioni, innalzamenti del piano stradale, arrangiamenti di ogni tipo, tutta questa vasta opera che deve ritenersi uno dei capolavori dell'ingegneria militare dell'epoca, venne del tutto a scomparire»
Siracusa in quel tempo, ortigia in particolare per volere dì Carlo V, era una formidabile cittadella spagnola fortificata; dichiarata piazza d'armi nel Mediterraneo, ma già in piena decadenza causa la funzione militare che aveva tagliato fuori la città da ogni scambio commerciale, snaturandone la sua vocazione mercantile e artigianale e determinandone la catastrofe economica.
Le fortificazioni spagnole contornavano il periplo di Ortigia e si estendevano sul Montedoro fino all'attuale piazzale Marconi.
Furono fatte edificare da Lamoral principe di Ligny, il quale incaricò di progettare le nuove fortificazioni all'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino.
vedi pagina mappa delle fortificazioni
Siracusa, la cinta muraria e i suoi baluardi.
La storia militare di Siracusa non si limita ovviamente alla storia delle tre fortezze, ma comprende anche quella della cinta, che fu oggetto di una serie continua di progetti tra Cinquecento e Seicento.
La cinta era costruita da una muraglia rinforzata da torri costruite a distanza irregolare, in funzione dei punti deboli della penisola.
Molte di queste torri, come evidenziano alcuni documenti, sono state successivamente inglobate nelle costruzioni militari successive, mentre alcune sono sopravvissute addirittura fino ai giorni nostri.
La modernizzazione, resa necessaria dall’uso dell’artiglieria, ebbe inizio, dopo il già citato torrione di Casanova con la costruzione dei baluardi San Giovannello, Campana e del forte Aretusa.
Venne fortificata anche l’area dell’istmo con due baluardi chiamati Settepunti e Sant' Antonio ed ebbe pure inizio la costruzione di una cittadella che doveva occupare tutto l’istmo, che fu però interrotta.
Il progetto ideato nel 1576 dall’ingegnere Campi, prevedeva, la concentrazione della difesa nella parte alta dell’istmo, di fronte alla muraglia medievale, trasformata in due potenti bastioni cui si dettero i nomi di San Filippo e Santa Lucia.
In seguito, Camillo Camillani progettò una nuova porta d’ingresso da edificare in mezzo ai due baluardi e che venne chiamata porta Reale; essa si proponeva quale entrata monumentale alla città, anche se non raggiungeva la grandiosità delle porte urbiche di Palermo.
Con questi primi interventi, Siracusa era passata, nell’arco di un secolo, da un modello di città medievale ad una difesa moderna.
Dopo un periodo di stallo, dovuto al minor bisogno di difese, nel 1671, con la nomina a vicerè del principe di Ligne e l’arrivo di un nuovo ingegnere militare di origine fiamminga, Carlos de Grunembergh, vennero ripresi i progetti.
Egli iniziò nuove opere nell’istmo e fece scavare sotto i baluardi di San Filippo e Santa Lucia, non più di un semplice fossato ma una vera darsena in grado di far passare le galere da un porto all’altro per evitare così un eventuale blocco marittimo della città.
Aggiunse nuovi ponti con le relative porte al passaggio di ogni fossato e nascose la cinquecentesca Porta Reale, anteponendovi una grandiosa porta, chiamata di Ligne, orgoglio della potenza militare spagnola.
Per la costruzione di queste opere militari venne sacrificato molto spazio urbano, vennero operate numerose distruzioni all’interno delle mura; in primo luogo, per consentire l’edificazione della caserma detta Quartiere spagnolo, era stata soppressa alla fine del Cinquecento una parte della contrada situata dietro il tempio di Apollo, contrada nominata del Trabocchetto dal nome del trabucco (catapulta usata nel medioevo).
All’altra estremità della penisola, di fronte al castello Maniace, si era iniziato a fine del Seicento a fare arretrare tutte le case situate presso il muro che separava la città dal castello mentre nel periodo austriaco era stata demolita l’intera contrada per far posto alla nuova caserma Abela.
mappa disegno delle fortificazioni di Siracusa del Ministero della Cultura Spagnolo forse dell'ingegnere Carlos DeCrunenbergh
Efisio Picone tratto da Galleria Roma Siracusa di Corrado Brancato, non più esistente ma travasata quasi interamente qui:
vedi anche pagina mappe fortificazioni spagnole
Siracusa, entrata suo malgrado nell'orbita di Roma nel 212 a.C. a seguito del lungo assedio cui la sottoposero le legioni del console Marcello — la Spada di Roma, come lo definirono i suoi estimatori contemporanei — va mano a mano perdendo di importanza ed i suoi confini — politicamente ed economicamente già di respiro mediterraneo — finiscono col ridursi a quelli della sola Ortigia; la città cara ad Eschilo, a Simonide, a Platone, cantata da Pindaro e da tanti altri poeti, conclude la sua parabola nella stessa isoletta che aveva accolto i coloni corinzi di Archia e che sarebbe stata la culla del suo splendore; le fonti storiche non ci dicono se i romani assedianti cantassero irridendo i siracusani « isoletta di pescatori Ortigia tornerai »...
Iniziata la sua rapida decadenza, Siracusa continua ad identificarsi con Ortigia fino a circa venti or sono, se si escludono le propaggini umbertine, direi extraurbane, di Corso Umberto I (già Rettifilo) e della borgata Santa Lucia; da questa data e di pari passo con il suo cosiddetto sviluppo industriale, Siracusa torna ad espandersi sino ad occupare oggi, grosso modo, i confini che furono già dell'antica Pentapoli.
Detto questo, risulta abbastanza evidente come ai vari dominatori che si sono avvicendati, dalla conquista romana in poi, premesse apprestare a difesa quel che restava della Pentapoli — Ortigia, cioè — e non già l'entroterra ormai divenuto pascolo di greggi ed armenti.
In epoca bizantina, tuttavia, sotto la pressione delle incursioni arabe, venne riattato il mastio del Castello Eurialo, la poderosa fortezza che la Grecita di occidente ci ha lasciato quale splendido ed inimitabile esempio di architettura e tecnica militari, punto di forza delle Mura Dionigiane, che ancora oggi sovrasta la città dall'Epipoli.
A prescindere da questo intervento storicamente ed archeologicamente comprovato, poco o nulla sappiamo circa opere difensive bizantine, se non quello che ci deriva dalla memorialistica, ed è molto poco.
Gli arabi occuparono Siracusa nell'anno 878 e la tennero, per due secoli, — salvo la brevissima parentesi del Maniace — fino all'anno 1087; ad essi lo storico Tommaso Fazello (in De Rebus Siculis) attribuisce la costruzione del Castello Marieth; sulla scorta di quanto annotato dal Fazello, il Capodieci scrive che quello da lui definito Castello Marchetti in Montedoro, chiamato anche Mairet, Mayretum, Maryecto secondo dizioni arabe corrotte, venne innalzato sulle rovine del palazzo di Dio-nisio I, poi di Jerone II, quindi dei Pretori romani. Esso subì nell'anno 1298, per mare e per terra, l'assedio degli aragonesi; nel 1354, al tempo di Giovanna, Regina di Napoli, nel Castello Marieth vennero accantonate alcune compagnie di armati napoletani; esso andò distrutto completamente dal terremoto dell'agosto 1542 e non ne rimane oggi traccia alcuna, così come nulla di arabo rimane a Siracusa a testimonianza di duecento anni di dominazione, tranne alcuni frammenti ceramici custoditi presso il Museo nazionale di Palazzo Bellomo. Il Castello Marieth fu innalzato a nord-ovest della città, nei pressi dell'istmo che anticamente congiungeva Ortigia alla terraferma, ed in esso trovò rifugio intorno all'anno 1411 la regina Bianca che qui fu assediata da Bernardo Cabrerà, potente signore di Modica.
Non si hanno notizie certe di fortificazioni normanne, mentre di età sveva è il Castello Maniace già illustrato.
Al XIV sec. si faceva risalire la costruzione del Forte Casanuova o Casanova, eretto in prossimità dell'imboccatura del Porto Piccolo la cui configurazione morfologica e topografica era notevolmente differente rispetto a quella attuale; il Forte andò completamente distrutto dal terremoto dell'11 gennaio 1693 (Tav. IV, n. 12); a detta delle fonti esso venne eretto da Alaimo Alagona sulle rovine della torre del tiranno Agatocle, posta all'imboccatura del Porto Piccolo secondo la testimonianza di Diodoro Siculo: l'Alagona vi fece apporre questa epigrafe tramandataci dal Fazello e dal Capodieci: « Hanc Alagona tuus felicem condidit arcem / Magnanimus Jaymus: sit nova dieta Domus »: da qui la definizione di Casanova.
Al volgere del XV sec. Siracusa era quindi tutt'altro che ben munita, e perché si arrivi a concepire un piano organico di fortificazioni, tale da garantire la sicurezza della città, bisogna attendere l'ascesa al trono di Spagna di Carlo V d'Asburgo; fino ad allora l'unica preoccupazione era stata quella di rabberciare alla men peggio le opere esistenti.
Nel 1535, inviato da Carlo V in Sicilia quale viceré, giunge a Siracusa don Ferdinando Gonzaga, fratello del duca di Mantova; sono questi gli anni in cui si fa particolarmente pressante il pericolo di un'invasione turca, resa ancora più probabile dall'alleanza stretta tra Solimano II e Francesco I di Francia. L'ombra minacciosa del corsaro Khair ed Din (o Ariadeno) detto // Barbarossa incombe sulle coste siciliane. Nel 1537, il Gonzaga ispeziona Augusta e Siracusa e qui vien dato inizio ai primi lavori di ammodernamento dei castelli Maniace, Marieth e Casanova; torna nuovamente a Siracusa nel 1540, ma è costretto da un ammutinamento della truppa a rinchiudersi in Castel Maniace, e a questa data risalirebbe la progettazione delle nuove fortificazioni affidata all'ingegnere bergamasco Antonio Ferramolino.