Il Sovrano di chissà dove - cosa ho fatto

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Cosa ho fatto
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Il Sovrano di chissà dove

scrittore
 
Il sovrano di chissà dove- racconto originale di Antonio Randazzo.
La saggezza contadina di un tempo:buon giornu uomu ri verra, buon giornu omu ri terra. Chi riciunu i rui, sunu addivintati tri, chi riciunu i longhi, su diventati cutti. 'N muntagna nivi c'è, tempu nn'è
 
I cunti ri 'na vota:
 
Quando le famiglie si riunivano intorno al focolare domestico e i genitori o i nonni ci raccontavano “i cunti” questa mi fu raccontata da mio padre che a sua volta l’aveva ricevuta dal padre al quale era stata raccontata dal nonno.
 
A me fu raccontata in vernacolo siracusano di quei tempi, ma ve la racconto per quanto possibile in lingua corrente, come la ricordo, cercando di farla capire.
 
C’era una volta un Re, sovrano di chissà dove, un regno ricco e prospero dove tutti vivevano felici.
 
Terronia era quel regno, terre fertili, sudditi laboriosi, più che regno era una famiglia e il monarca era benvoluto e rispettato da tutti i cittadini del reame, ma anche dai regnanti dei popoli vicini e lontani.
 
Un vero eden per quel tempo.
 
Il Re aveva un’unica figlia, bellissima, in età da marito, e in tanti aspiravano alla sua mano.
 
Proprio questo era il cruccio del Re, padre, che giustamente aspirava alla felicità della figlia ma temeva che andasse in sposa a persona indegna anche di ereditare il regno e perciò era in cerca di qualcosa che desse certezza alle sue aspirazioni per il futuro della figlia e del regno.
 
Dopo tante notti insonni alla ricerca di una soluzione, un giorno, come sempre assorto nei suoi pensieri, triste per non trovare soluzioni, stanco di dover frenare gli spasimanti della figlia, decise di fare una lunga cavalcata per distrarsi.
 
Inforcato il cavallo, girò per i suoi possedimenti e si fermò nelle terre di uno dei suoi vassalli, proprio accanto ad una fresca sorgente all’ombra di una pineta.
 
Poco dopo, immerso nei suoi pensieri, vide giungere un anziano contadino che vedendolo salutò:
 
buon giorno uomo di guerra e in risposta al saluto disse: buon giorno uomo di terra.
 
Il Re attratto dalla socialità e dalla saggezza che traspariva dal vecchio contadino, gli domandò:
 
che dicono le lunghe?
 
Il contadino senza pensarci sopra rispose: sono diventate corte!
 
Il Re, stupito da tanta cultura dimostrata dal suddito, domandò ancora:
 
che dicono le due?
 
Immediatamente senza battere ciglio il contadino rispose: sono diventate tre!
 
E il Re di rimando continuò: in montagna neve c’è? E il contadino: tempo nn’è!
 
Il Re si illuminò, aveva trovato soluzione al suo cruccio.
 
Fece avvicinare il contadino e imperiosamente gli disse di non rivelare a nessuno quel dialogo a meno che non avesse visto cento e una volta la sua faccia.
 
Il contadino promise e giurò sulla sua testa che mai avrebbe rivelato quel segreto se prima non avesse visto cento e una volta la faccia del Re.
 
Il sovrano diete un premio al suo suddito e inforcato il cavallo tornò alla sua reggia.
 
Chiamò i suoi dignitari e fece redigere un bando nel quale fece scrivere che avrebbe dato sua figlia in sposa a chi avrebbe spiegato il significato di queste parole:
 
Che dicono le lunghe? sono diventate corte!
 
Che dicono le due? sono diventate tre!
 
In montagna neve c’è? tempo n’è!
 
Tanti furono i pretendenti della principessa ma nessuno di loro seppe spiegare e rispondere alle domande poste dal Re.
 
Passo tanto tempo e un giorno, un nobile giovane di quelle contrade, si fermò vicino alla sorgente e affranto, sfogava la sua disperazione come poteva.
 
Sopraggiunse l’anziano contadino e incuriosito domandò al giovane come mai fosse così disperato.
 
Il giovane gli raccontò che era innamorato della principessa figlia del Re di Terronia ma questi voleva che i pretendenti indovinassero il significato di certe cose, chiarendo cosa.
 
Il contadino ci pensò sopra e poi disse al giovane che gli avrebbe dato la soluzione al quesito in cambio di cento once d’oro.
 
Il giovane non si fece pregare e immediatamente consegnò al contadino una borsa contenente cento once d’oro.
 
A quel punto il contadino spiegò che le lunghe sono gli occhi che con la vecchiai diventano corte;
 
Le due sono le gambe che con la vecchiaia hanno bisogno del bastone per reggersi e infine in montagna c’è la neve si riferisce ai capelli bianchi.
 
Il giovane quasi impazzì dalla gioia e di corsa raggiunse la reggia chiedendo di essere ricevuto dal Re al quale diete la soluzione.
 
Il Re capì subito che solo il contadino poteva aver tradito la parola data e prima di qualsiasi altra cosa inforcò il cavallo e raggiunse il luogo dove sapeva di trovare il villano.
 
Appena lo ebbe davanti lo rimproverò minacciandolo di morte, come aveva potuto tradire la sua fiducia?
 
Il contadino, senza battere ciglio, rispose: mio signore io non ho tradito la parola data ed ho fatto quanto voi mi avete detto.
 
Io ti avevo detto che non dovevi rivelare il quesito senza aver visto prima cento volte la mia faccia, disse il Re!
 
Vero è, mio re, e così ho fatto.
 
Il Re sentendosi preso per i fondelli estrasse la spada e stava per uccidere il contadino, ma questi lo fermò ed estraendo la borsa contenente le centonze d’oro, ne estrasse una e chiese: eccellenza, siete voi il signore raffigurato in questa moneta? Alla risposta affermativa chiarì dicendo, queste sono cento monete con la vostra faccia ed una è qui con la vostra presenza e quindi non ho tradito il vostro segreto.
 
Il Re capì la metafora e ancora di più apprezzo il suo suddito chiamandolo ad essere suo consigliere.
 
Il nobile giovane sposò la sua principessa figlia del Re e vissero felici e contenti e a noi non diedero niente
 
Antonio Randazzo
 
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