Il periodo bizantino (535-875)
La conquista di Belisario vide nel suo pieno fiorire la cultura architettonica paleocristiana ruotante intorno alla sua memoria più sacra e insieme al suo complesso più monumentale: la cripta di S. Marziano e le catacombe di S. Giovanni.
Il lungo periodo bizantino, spazzato via dall'invasione araba, effettuerà, a Siracusa e in tutta la sua zona, un’ operazione di simbiosi fra la propria cultura e la corrente paleocristiana approdando a una sorta di zona intermedia dove gli schemi basilicali vengono riadattati, a volte sormontati da piccole cupole sorgenti su di un basso tamburo, decorate da affreschi, a volte ingranditi e dove in qualche caso compare la campata come struttura portante.
Storicamente la corrente bizantina non si incontrò in Sicilia con una forte cultura paleocristiana, né vi arrivò con tutto il proprio vigore; e proprio dall'incontro di questi due toni "sommessi" venne fuori l'attuale connotazione di tutte queste chiese la cui ricordata fondazione fu paleocristiana, ma la cui facies attuale è bizantina.
La basilica di S. Marziano (forse edificata nel V secolo), la chiesa di S. Pietro intra moenia (della quale venne demolita l'abside paleocristiana e mutato l'orientamento), S. Pietro ad Bajas, la nuova chiesa di S. Lucia extra moenia e infine la nuova cattedrale ricavata nel tempio di Athena appartengono tutte a questo periodo.
La trasformazione del tempio di Minerva avvenne nel VII secolo e si ottenne procedendo alla occlusione degli intercolumni e all'apertura di otto grandi arcate per lato sui muri della cella attuando così la sua trasformazione in basilica. La facciata da oriente fu spostata a occidente.
La trasformazione di un tempio pagano in basilica, operata in periodo bizantino, non era una prassi inusitata e la si riscontra nel tempio della Concordia ad Agrigento, nel tempio di Apollo in Siracusa (dove fu riutilizzata soltanto la cella dell'edificio greco) e a S. Lorenzo Vecchio presso Pachino (dove al corpo della cella fu aggiunto un oratorietto).
La riutilizzazione dei templi greci ci testimonia con sufficiente chiarezza della relativa povertà del periodo in esame che preferì riutilizzare anziché costruire, cosa che avrebbe comportato una spesa e un impiego di manodopera a quel tempo non reperibile, in specie se si volevano ottenere edifici dalle proporzioni simili a quelli ricavati dalla riutilizzazione dei templi greci.
Nonostante il generale quadro di decadenza, Siracusa non doveva essere una città senza importanza data la decisione dell'imperatore Costante II di eleggerla a capitale dell'impero bizantino in sostituzione della grande Bisanzio.
Prima di parlare di questa vicenda occorrerà ribadire un concetto. Che cioè quando si parla continuamente di decadenza lo si fa nella misura in cui la città viene vista nella sua prospettiva storica, dove il termine di paragone con il periodo greco è insostenibile. Ma, se si eccettua Bisanzio, in tutto il mondo cristiano la contrazione demografica e le condizioni di insicurezza avevano reso tutte le città un deserto.
Per quello che riguarda la decisione di Costante II di spostare a Siracusa la capitale dell'impero bizantino Michele Amari così argomenta: Tornato ... l'imperatore a Costantinopoli incrudelì per sospetti di stato; fe' uccidere il proprio fratello ... e alternando fierezza a viltà ... pensò di fuggire i luoghi che gli ricordavano il parricidio ... Egli ... venne in Italia far guerra ai longobardi; ….e poi non aspettò lo scontro loro a Benevento; e vedendo sconfitto un grosso di sue genti in fretta visitò Roma, raccolsevi quante cose di pregio rimane ano nelle chiese, fino il bronzo ond'era coperto il tetto del Pantheon; e, incalzato dai longobardi, passò in Sicilia; si chiuse con la sua corte e i suoi tesori a Siracusa. E in vero ei disegnò di porvi la sede dell'imperio. Al quale pensiero sembra mosso Costante dalla spaventevole forza degli arabi che pare dovessero occupare da un dì all'altro tutta l'Asia Minore, mentre i popoli settentrionali incalzavano da un altro lato; ed egli è evidente che, disperando di tenere Costantinopoli, non si potea scegliere più sicura né più comoda stanza alle forze vitali dell'impero, che la fertile isola cinta dai porti di Messina, Siracusa, Lilibeo e Palermo, donde le armate avrebbero signoreggiato il Mediterraneo, e agevolmente si sarebbe ripigliata l'Italia.
È chiara, nell'analisi amariana, la vena antibizantina che si risolve sia in una certa aggettivazione, sempre negativa, sia in una interpretazione che, in specie nella prima parte (quando si parla dell'assassinio del fratello dell'imperatore), non convince.
Più volte abbiamo ribadito, e non sarà male farlo un'altra volta, che la estrema solidità della ricostruzione amariana, da sola supera le speciose critiche del Volpe e di quanti in Amari vedono un frutto di un attardato illuminismo e che non condividiamo nemmeno l'appunto del Finley secondo il quale la "storia" amariana peccherebbe di macchinosità.
A nostro modo di vedere tutta l'opera dell' Amari è ancora oggi un insuperato saggio scientifico di enorme valore, e per la padronanza delle fonti arabe e per il sistema stesso della ricostruzione.
L'unica parte caduca, riguarda proprio il giudizio di valore sull'impero bizantino, che risente, in modo naturale del resto, del clima romantico di condanna assoluta della storia di Bisanzio.
È chiaro che se si assume come termine di paragone l'impero romano la cui area era tutto il Mediterraneo, nel pieno del suo fulgore economico, risulta vigoroso il racconto di Amari dove si dice che l'imperatore abbia "grattato" persino le tegole di bronzo del Pantheon; è come assumere, ed anche questo è già stato detto, a costante paragone dello sviluppo urbanistico di Siracusa il suo periodo greco: ogni quadro sarà una descrizione di decadenza.
Ma se solo si pone mente alle condizioni economiche dell'epoca e alla lotta di sopravvivenza che Bisanzio stava conducendo, certi effetti possono risultare più chiari.
Ritornando all'argomento: che l'uccisione del fratello abbia raccolto intorno a Costante II tanto odio da fargli decidere lo spostamento della sua sede imperiale, sembra improbabile in un contesto dove la cristianissima corte di delitti ne aveva sempre visti commettere.
Che, d'altro lato, la disputa religiosa abbia isolato ideologicamente l'imperatore, anche se vero, non pare sufficiente come motivo giustificante tanta decisione. È vero che Costante II partecipò, come era costretto a fare ogni imperatore, a quelle mostruose macchinazioni che furono le dispute religiose, attraverso le quali tanto la chiesa occidentale, quanto il clero greco, miravano a indebolire il potere politico; ma è anche vero che gli imperatori parteciparono a queste lotte, la cui vera posta era l'unità dell'impero, sempre da protagonisti, e sempre restituendo colpo su colpo, fino alla lotta aperta al papato e alla lotta al clero greco attraverso la crisi iconoclasta.
Le lotte religiose, in conclusione, facevano parte ormai stabile di una tradizione di governo, nella quale l'opera di Costante II andò a innestarsi, e la continuazione di una tradizione non può generare una violenta crisi.
Costante II si colloca in questo quadro nella sua prima fase di lotta contro l'Occidente; papa Martino, eletto il 5 luglio del 649, venne dall'imperatore imprigionato ed esiliato.
La spina dorsale di questo importante avvenimento va rinvenuta nella mai sopita velleità indipendentistica del papato che, nella persona di Martino, aveva convocato un concilio per condannare il Typos imperiale del 648, cosa che equivaleva a colpire direttamente l'autorità dell'imperatore, e in un momento in cui la lotta all'Islam imponeva un massimo sforzo.
In realtà, come si è detto, il clero occidentale, così come per altra via quello orientale, voleva svincolarsi dall'autorità imperiale (cosa che voleva dire frantumare l'impero), mentre la marea montante e vittoriosa dell'Islam, stringendo l'impero da ogni parte, minacciava chiaramente l'Occidente e la sua cultura.
Se la cultura europea si salvò dall'Islam (e non intendiamo con questo dare un giudizio di valore ma formulare una semplice constatazione di fatto), ciò fu unicamente dovuto a Bisanzio (è ridicolo continuare a parlare di Poitiers come di un fatto conclusivo) e principalmente alle sue due più grandi vittorie militari sull'Islam: la prima, e probabilmente la più importante, ottenuta dal figlio di Costante II e cioè Costantino IV nel 678; la seconda ottenuta da Leone III l'Isaurico nel 718.
È anche chiaro che queste vittorie non furono ottenute occasionalmente, ma furono preparate da un'ininterrotta tensione politico-militare e che Bisanzio combatté sempre con eroica determinazione.
Per venti anni Costante II aveva imperato da Bisanzio. La sua improvvisa decisione di spostarne la sede imperiale in Occidente dimostra:
l) che l'impero possedeva ancora un'altissima coscienza della propria integrità territoriale, comprendente sia l'Oriente (dove più tardi si arroccherà) che l'Occidente,
2) che la scelta fu operata per meglio fronteggiare e l'elemento arabo e il pericolo germanico che incombeva sul nord dell'Italia. E la capitale prescelta fu Siracusa.
Purtroppo non sappiamo nulla del periodo in cui Costante II governò da Siracusa l'impero bizantino. Certo è che la città non doveva poi essere completamente decaduta se l'imperatore decise di stabilirvisi o è più probabile pensare che la scelta sia stata obbligata dalla generale situazione militare dell'impero. In Sicilia non v'era che Siracusa atta ad accogliere la sede dell'impero.
Non possiamo documentare nessun lavoro edilizio dovuto a Costante II, ma possiamo argomentare che se memoria di grandi lavori edilizi non è stata tramandata ciò vuol dire sia che l'imperatore aveva già esaurito le proprie finanze, sia che il periodo di stanziamento fu troppo breve (663-668) e sia, in ultimo, che le fortificazioni e l'edilizia di Ortigia, dove è logico supporre che l'imperatore risiedesse, fossero ancora in efficienza.
Finito il periodo di Costante II e ritornata la capitale a Bisanzio, sotto una nuova ondata di invasioni islamiche il governo bizantino ... poté quindi afforzare validamente le due isole, e massime la Sicilia che più gli premea; rizzare un castello ... sopra ogni roccia atta a difesa. ( M. Amari)
Nel quadro di questo generale incastellamento venne riattato e ristrutturato il castello Eurialo che assunse quella fisionomia rimastagli fino ad oggi. Si deve notare che il riattamento dell'Eurialo non fu più relativo alla retrostante cinta fortificata, che recingeva un deserto, ma si concepì come fortezza a sé stante, senza alcun collegamento con l'ormai lontanissima Ortigia, a sua volta difesa da una autonoma cinta muraria.
Nel corso dell'VIII secolo, facendosi sempre più concreta la minaccia di una massiccia invasione araba, il vescovo Zosimo trasportò la cattedrale da S. Marziano, ormai troppo fuori Siracusa, fin nel cuore di Ortigia, nel riadattato tempio di Minerva. È questo l'ultimo atto del completo spopolamento dei residui insediamenti sparsi per l'alta Acradina mentre Siracusa si apprestava a vivere, con il periodo arabo, il definitivo tramonto della propria grandezza.
Elio Tocco