la città e i suoi luoghi
Michele Liistro La città e i suoi luoghi
Il riconoscimento dei luoghi attraverso
la toponomastica popolare
La città non è mai un luogo omogeneo perché l'uso dei suoi spazi è fortemente articolato e diversificato, generando zone differenziate. In alcune di queste parti della città si concentrano le attività, la frequentazione, gli eventi, i modi di vivere di gruppi sociali; altre costituiscono attrazione per gli abitanti e i visitatori.
Queste parti in genere sono considerate "luoghi" ed al termine luoghi si suole associare, spesso, il termine "genius".
"Genius è il termine che in antichità esprimeva il fenomeno della generazione dello sviluppo della vita, il Dio particolare di ogni uomo che vegliava su di lui dalla nascita alla morte, prendendo parte alle sue gioie e ai suoi dolori e spariva con lui; come ogni persona così ogni luogo, ogni città, ogni Stato, ogni cosa aveva il suo genio protettore ".ì
Nel tempo moderno, "genius loci" è divenuta un'espressione adottata in architettura per un approccio allo studio dell'ambiente, della relazione tra luogo e caratteri identitari per definire l'insieme delle caratteristiche socio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che caratterizzano un luogo, un ambiente.
"Con il termine "Genius Loci", quindi, si suole indicare il "senso", il "carattere", lo spirito di un luogo, le suggestioni che provoca, l'aria che vi si respira, l'odore che si avverte, l'ambiente costruito, il paesaggio, a volte la sacralità e il sapore della storia. E questo deriva, per un quartiere, dalla gente che lo abita, dai colori delle case, dalla particolare configurazione dello spazio, da quanto cielo si riesce a vedere, dai profumi, dal rumore, dai comportamenti".'
Spesso questi caratteri sono stati raccontati o descritti da scrittori, poeti, storici, pittori, fotografi, musicisti o, anche, attraverso altre forme di comunicazione.
In Ortigia, nel recente passato, vi erano dei luoghi che possedevano caratteri identitari ai quali si può associare il termine "Genius". Ortigia, un tempo, non era una città monolitica bensì un insediamento fortemente articolato; alcuni suoi luoghi presentavano caratteri morfologici ambientali e funzioni abbastanza definite e riconoscibili.
Recentemente è stato pubblicato uno studio, a cura di Antonio Randazzo, che riproduce una mappa nella quale è riportata l'antica toponomastica della città.
In essa appaiono i "luoghi" della memoria, definiti con idiomi antichi, termini non più in uso che le nuove generazioni non conoscono e rischiano di essere dimenticati ma che, una volta, ne consentivano una immediata identificazione.
Nessuno in Ortigia, infatti, era uso utilizzare la nomenclatura della toponomastica ufficiale. Erano i termini popolari consacrati dalla tradizione che davano le indicazioni per muoversi all'interno dell'Isola.
Ad indicarli erano nomi di santi, di monumenti, di luoghi, di eroi, di chiese, di attività, di emergenze.
La nomenclatura era espressa in modo molto colorito con un linguaggio dialettale costituito da un misto di lingua italiana, francese e araba liberamente storpiate dal dialetto: a "Turba", a "Jancia" (la Gancia), a "Spirduta", "u Dammusu" a Massciarrò (Mastra Rua), Arreri mari (Arriere la mer), a "Calata Guvinnaturi"etc.
A volte il nome di una strada o di un luogo derivava dalla necessità di doversi riferire ad un elemento naturale come, ad esempio, un albero, per cui una piccola viuzza veniva chiamata "a vanedda 'a 'Uva", (il vicolo dell'ulivo) dalla presenza di un antico albero di ulivo nella corte di un caseggiato o "a pamma" (la palma) oppure "u ceusu" (il gelso); qualche altra volta il luogo prendeva il nome dalle attività particolari e prevalenti che aiutavano ad identificarlo e che assumeva il nome de "i buttari" per gli artigiani che costruivano le botti o "a tintoria" per la presenza di tintori o "u ntrallazzu" per la zona di mercato dove, nel dopoguerra, c'era il mercato nero.
Molti termini traevano origine anche da alcune emergenze architettoniche, urbanistiche, importanti e particolari come "u Dammusu", (termine arabo che indica una grande struttura voltata), "a Funtana" per la Fonte Aretusa, "u Casteddu" per il Castello Maniace o "u fossu" per il luogo degli antichi fossati, cioè dei canali delle fortificazioni costruite da Carlo V e che collegavano il porto grande con il Porto Marmoreo.
A volte il nome del luogo prendeva origine da una particolare merce in vendita in qualche piccolo emporio come era il caso della "vanedda a nivi" (vicolo della neve), una piccola stradina da cui si accedeva, un tempo, alla Camera del Consiglio Reginale. Quando ancora non c'erano i frigoriferi, vi si poteva comprare la neve proveniente dall'Etna e dalle "neviere" di Monte Lauro.
"Arreri mari" (dal francese "arriere la mer") era il tratto di lungo mare di levante costellato da piccoli "bassi" a "luci rosse" dove le prostitute svolgevano la loro attività. La "Jancia" era la zona dove, un tempo, vi era la "Gangia", termine usato in Sicilia, ed in particolare per la chiesa di S. Maria degli Angeli a Palermo, per indicare un' ospizio per poveri malati forestieri, gestito da ordini religiosi.
Le piazze avevano assunto il nome dai caratteri morfologici dello spazio; piazza Archimede era "u spiazzu" (uno spazio ampio libero ma definito), Pzza Duomo invece era "u Chianu" cioè una grande spianata. La terrazza dell'ex Bastione Aretusa era lo "spiazzetto".
"U taliu" era il luogo dove, dalle case dei pescatori, o dalla passeggiata, detta la "Marinella", si "taliava" (scrutava) il mare e l'orizzonte di levante. Una traduzione letterale dal siciliano non è mai completamente esaustiva del significato intrinseco del termine; la traduzione che più si avvicina al termine "Taliu" potrebbe essere "Belvedere".
C'è chi sostiene, però, che il termine "Taliu", attribuito a quel luogo, derivasse dal fatto che da lì, le mogli dei pescatori che abitavano nel quartiere della Graziella "taliavano" (scrutavano con apprensione) l'orizzonte, con timore e speranza, aspettando il ritorno delle barche e dei loro uomini, dopo la tempesta.
Anche le attività presenti in una determinata parte della città concorrevano ad indicare un luogo: a "vanedda e buttari" era il vicolo dove, anticamente, si costruivano le botti; "nti pillucciu" era la zona della Graziella dove vi era una famosa osteria molto frequentata da tutti i ceti sociali, per la qualità delle pietanze; "a calata guvinnaturi" era la strada, in discesa, dove c'era il palazzo del Governo; "u centralinu" era il Forte Vigliena sulla riviera di levante che durante l'ultima guerra era stato attrezzato con impianti di radiotelefonia militare. A "tinturia" era la zona dove gli ebrei gestivano alcune tintorie tra le più importanti.
La città e i suoi luoghi