San Zosimo - Santi siracusani

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Santi Siracusani
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San Zosimo

è ricordato in un'opera di Antonello da Messina, presso il Duomo di Siracusa






Nell'altare laterale a sinistra della Cappella del Crocifisso, nella Cattedrale di Siracusa, si trova una grande tavola con l'immagine del Vescovo Zosimo, ritto in piedi, vestito dei paludamenti pontificali, che incede benedicente con la mitra in testa e col bastone pastorale nella mano sinistra.
E' un prezioso dipinto, attribuito ad Antonello da Messina (1430-1479) e fece bella mostra di sè nell'esposizione antonelliana, fatta tanti anni fa nella città dello Stretto.
Benito Mussolini, nella lunga visita fatta nel 1925 nel Duomo di Siracusa, arrivato davanti a quell'altare, esclamò più volte: "oh, che bel quadro!".
L'arcivescovo mons. Fiorenza, (1897-1905) scrisse una biografia sul Santo Vescovo e cittadino siracusano; e, avendo trovato nella Cattedrale una reliqua insigne la fece racchiudere in una artistica urnetta d'argento, che trovasi tuttora nella cappella del palazzo arcivescovile.
Sull'antichissimo vaso marmoreo, che trovasi nel Battistero della Metropolitana, v'è scolpita una iscrizione greca, consunta in parte dal tempo. La parte, che resta, è stata interpretata così: Zosimi Deo donum... hoc vas.
Fortunatamente dell'insigne Pastore c'è una biografia, scritta da un suo contemporaneo, dalla quale riportiamo le notizie principali.


Zosimo nacque da agiati parenti, che l'ottennero da Dio con grandi preghiere. Quando ebbe compiuto l'età di sette anni, lo vollero dedicare al servizio di Dio nel monastero benedettino di Santa Lucia al quale, insieme col figlio, offrirono in dono un podere, che avevano lì presso.
Era allora abate del monastero Giovanni, di cui è menzione nel Regesto di S. Gregorio Magno nel luglio del 597; il quale morì poco dopo e gli successe Fausto che dal biografo è detto "santo, ricco di meriti e di virtù, di cui Zosimo si studiava di imitare la vita e i costumi".
Da lui Zosimo, ancor giovane, fu deputato alla custodia del sepolcro della santa. Preso però dall'amore dei parenti, fuggì a casa loro; ma essi, pii e buoni cristiani, lo persuasero a lasciarsi ricondurre al monastero. Qui la notte in sogno gli parve vedere la Santa, che adirata gli minacciava castighi per averla abbandonata. Ripresa la vita monastica, si diede con grande fervore all'esercizio delle virtù, specialmente della purezza, per la quale spiccò sopra tutti. Dopo aver passato trent'anni in questo tenore di vita, sempre crescendo in perfezione, venne a morire il suo abate San Fausto, pieno di anni e di meriti. Dovendosi passare alla scelta del successore, alcuni sollecitavano questa dignità; ma poi i monaci pensarono di rimettere l'elezione al Vescovo che era allora San Giovanni, cui il Papa del tempo S. Gregorio Magno aveva affidato incarichi per tutta la Sicilia perchè ben conosceva "di quale gravità, mansuetudine e santi costumi egli fosse". Si recarono perciò tutti a trovarlo, tranne Zosimo, che, alieno da ogni ambizione, era rimasto nelle sue consuete preghiere al sepolcro di Santa Lucia.
Il Vescovo, avuti tutti i monaci dinanzi a sè, chiese loro se mancasse alcuno. Gli fu risposto: nessuno. Avendo ripetuto la domanda la seconda e la terza volta, i monaci risposero: nessuno, tranne l'ostiario del monastero.
Fattolo venire, il Vescovo lo accolse con grande onore e riverenza e lo elesse Abate con grande stupore dei monaci, uno dei quali esclamò: "Si è avverato oggi il detto del profeta Isaia: Sopra chi riposerà il mio spirito, se non nell'umile, e sopra colui che teme la mia parola?" Il medesimo Vescovo ordinò Zosimo sacerdote della Chiesa della Beata Vergine Maria, che era la Cattedrale.

Zosimo tenne l'ufficio di abate del monastero di S. Lucia per ben quarant'anni e diede tali prove di prudenza, di zelo e di ogni virtù che era da tutti ritenuto come uomo consumato nella difficile arte di governare. Venuto a morte il Vescovo di Siracusa, la maggior parte del Clero e del popolo voleva, come successore, Zosimo, stimatissimo per le sue virtù; altri, giudicandolo come uomo semplice e di poca levatura nelle cose del mondo, preferivano un certo Venerio. Non potendosi mettere d'accordo, i rappresentanti delle due parti, coi rispettivi eletti, furono a Roma. Era allora Sommo Pontefice S. Teodoro (642-649), il quale scelse Zosimo, che non voleva affatto quel peso e accettò per le insistenze di Elia, che fu suo arcidiacono e poi suo successore.
Consacrato Vescovo, fu accolto con grandissima letizia da tutta la città, che in breve tempo divenne un solo ovile sotto la guida del santo pastore. Quanto era superiore agli altri per la dignità e i meriti, tanto si faceva inferiore con l'umiltà. Unicamente sollecito della salute spirituale del suo gregge, lo amministrava con la parola e più con l'esempio, nell'esercizio delle virtù, specialmente della carità; sicchè, dice il suo biografo, egli era assai più amato per la sua mansuetudine che non gli altri per il loro rigore.

Narra il suo diacono Giovanni, che facevagli da segretario, che un giorno gli si presentò un povero, chiedendo l'elemosina. Zosimo ordinò a Giovanni che gli desse due monete. Avendogli quegli risposto di non averne, gli ingiunse di vendere il mantello e darne il ricavato al mendico. Mormorando il diacono per l'ordine troppo gravoso, Zosimo si tolse dalle spalle il suo mantello che era nuovo e gli ordinò di venderlo immediatamente. In quel mentre arrivò un giovane che, messosi in ginocchio ai suoi piedi, gli lasciò una buona somma di danaro. Il santo Vescovo riprese il gretto animo e la poca fede del suo diacono.

Benchè Vescovo e vecchio, non tollerava che alcuno lo servisse, ma faceva ogni cosa da sè. Un prete, di nome Mauro, che aveva cura della sua casa e gli era molto caro, vedendolo un pomeriggio dormicchiare sulla sedia molestato dalle mosche, prese un flabello e le cacciava. Come egli se ne accorse, lo sgridò dicendogli di impiegare piuttosto quel tempo nella preghiera.
Era assiduo nell'amministrare e nell'ammonire tutti i fedeli affidati alle sue cure. Restaurò il tempio in onore della Beata Vergine che era la sua Cattedrale; nella quale, dice il suo biografo, offriva il santo Sacrificio e faceva le sue preghiere. Avendolo splendidamente adornato e arricchito, lo consacrò l'anno quinto del suo episcopato e ottantaduesimo anno di età, con grandissima solennità e infinita allegrezza del popolo.

Gli ebrei, che erano allora numerosi in Siracusa, vedendo ciò, volevano riedificare la loro sinagoga, distrutta poco prima in una incursione dei saraceni, ma egli non lo permise. Nell'ultima malattia fu visitato da Euprassio, cubiculario dell'imperatore; il quale, vedutolo giacere sopra poverissima stuoia, gli fece portare degli eleganti trapunti. Il santo vi giacque un poco, ma poi ordinò di venderli e darne il denaro ai poveri. Tornato Euprassio, e vedendolo di nuovo su quella povera stuoia, gliene mosse lamento, ma Zosimo gli disse che in essa riposava meglio che in qualunque altro morbido letto.

Finalmente dopo tredici anni di episcopato e novanta di vita, avendo prima predetto al suo arcidiacono Elia che gli sarebbe succeduto, preso da febbre, placidamente spirò.
La Chiesa greca e latina onora la sua memoria nel 30 marzo, che forse fu il giorno della sua morte. I funerali furono solennissimi e tutti i cittadini cercarono di toccare il feretro e di averne qualche reliquia. Vi si operarono guarigioni miracolose, e il biografo cita i nomi delle persone e si appella ai testimoni, che erano ancora viventi.

Testo tratto da:
Profili di Siracusani Illustri
Mons. Giuseppe Cannarella


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