Duomo Siracusa-Ortigia
Siracusa-Ortigia quartiere Duomo
Siracusa-quartiere Duomo.
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La zona Duomo, impropriamente chiamata quartiere, in epoca arcaica e greca in particolare, era la zona sacra, l’Acropoli, raggiungibile dalla via sacra, Cardo per i romani, oggi via Dione, la quale collegava il tempio di Apollo a nord con l’attuale via Roma e proseguiva fino alla punta Maniace dove era il tempio di Hera.
La sacralità del sito, che si ergeva nel punto più alto dell’isola di Ortigia, oggi metri 18,561, caposaldo 15, angolo piazza Duomo via Minerva è confermata dai ritrovamenti archeologici, tombe e pozzi nel sottosuolo dell’ampia piazza, in via Minerva, sotto le fondamenta del palazzo Arcivescovile e adiacenze e i templi di Athena e l’Artemision confermano l’antica antropizzazione indigena Sicula e greca.
Non risultano interventi in età romana e, dopo il disfacimento dell’impero i Bizantini trasformarono il tempio di Athena in chiesa cristiana, gli Arabi in Moschea oltre a stravolgere l’assetto dell’impianto viario, cultura e abitudini di un popolo decimato e oppresso.
Agli Arabi subentrarono i Normanni, i quali, trasformarono in stile gotico l’interno e il prospetto della chiesa ed abbellirono la città con numerosi edifici e monumenti di pregio alcuni ancora esistenti come palazzo Bellomo, parte dell’interno del palazzo Arcivescovile dove, nel primo cortile, sono ancora le volte e la splendida Cappella sveva e il monumentale Castello Maniace che avrebbe dovuto essere la reggia voluta da Federico II.
Nel corso del medioevo, l’intera città venne semidistrutta dai disastrosi terremoti del 1100-1168-1351-1542 e 1693, come evidenziato nella mappa disegnata nel post terremoto, 1694/95.
Ai Normanni, subentrarono gli Aragonesi, i Catalani, gli Angioini, gli Spagnoli, i quali trasformarono Ortigia in cittadella fortificata, Austriaci, Piemontesi, Borboni e chi più ne ha ne metta, i quali, nel bene e nel male, dominarono la città fino al 1861 anno dell’unità d’Italia.
Secondo gli storici, nel medioevo, in epoca spagnola, il quartiere Duomo, era la zona compresa tra le vie Roma, antico decumano maggiore, a levante, delle Carceri vecchie, a ponente, a sud via Capodieci e largo Aretusa, e nord le vie Landolina, del Consiglio Reginale-Amalfitania, decumano minore.
La piazza, si estende nell’ampia terrazza naturale con un particolare contorno a forma di grande occhio delimitato da una cortina di palazzi di notevole pregio, che conferisce alle nobili residenze una privilegiata esposizione panoramica sul Porto Grande.
Il piano, “u chianu”, per noi sarausani di antica generazione, sin dalle origini sede del potere politico-religioso, ricco di storia raccontata e testimoniata da segni, pietre parlanti, architettura, tragici eventi, gioiose cerimonie e manifestazioni di protesta.
Nei nostri ricordi emergono immagini di colorati affreschi, simbioticamente amalgamati, dei variopinti, rigogliosi e profumati Oleandri, color salmone, bianco, rosa, carminio e gialli, più volte sostituiti e ripiantati, che sin dall’800 ornavano il sacro luogo, negli anni 90, proditoriamente falciati ed estirpati da sacrilega furia inumana, senza alcun rispetto per la memoria storica collettiva.
Quella che fu una delle più belle piazze d’Italia, simbolo e primario luogo di socializzazione, svenduta per trenta denari, stravolta dalla modernità turistica scialacquona, oramai facile preda speculativa per eventi estranei alla sacralità antica.
Piange il mio cuore per te Ortigia bedda!
Per la storia, dal limitrofo quartiere Bottai, si giunge alla piazza percorrendo la via Landolina, dopo aver ammirato la severa mole della facciata della secentesca chiesa dei Gesuiti;
i trecenteschi palazzi Francica Nava, già Gravina-Cruyllas e, di fronte, palazzo Chiaramonte, danneggiato dal terremoto del 1693, in parte ricostruito con aggiunta di elementi barocchi nella parte superiore, su due piani con quattro balconcini decorati con mensoloni, travoni e bassorilievi geometrici decorativi, ma che conserva parte dei paramenti della facciata con l’ingresso ad arco cuspidato e una finestra bifora;
ad est, civico n.1, l’ottocentesco palazzo Interlandi Salonia, un elegante edificio nobiliare con la facciata divisa in tre ordini orizzontali e, un bel portale arcuato provvisto di mensoloni che sorreggono un elegante balcone centrale con timpano semicircolare e, nella parte superiore, 4 finestre rettangolari, 6 balconi e 7 eleganti balconi ad apertura rettangolare;
ad angolo con la via Minerva, un tempo piazza, storico palazzo del Senato di Siracusa, opera di Giovanni Vermexio, completata il 26 gennaio 1632 come confermato dal lucertolone, sua firma, in alto, ad angolo tra i cornicioni terminali.
All’interno, nell’androne, è custodita l'antica carrozza del Senato, costruita a Palermo e giunta a Siracusa il 18 Maggio 1764, classico esempio di berlina imperiale di gran lusso magnificamente decorata con i quattro continenti allora conosciuti, l’Europa, come regina del mondo; l’Asia, con ghirlande e incenso; l’America, con piume colorate e frecce e l’Africa dalla pelle scura e i colori esotici, la Forza, rappresentata da una donna in armatura con lancia e scudo; la Giustizia, rappresentata da una dea raffigurata con spada e bilancia; la Prudenza, rappresentata da una donna con specchio e serpente a simboleggiare la saggezza, e la Temperanza rappresentata da una donna che mostra un morso e redini da cavallo, simbolo di dominio;
la splendida settecentesca luminosa facciata del Duomo, opera di Andrea Palma svetta al centro di una delle più belle piazze d’Italia, affiancata dal complesso architettonico, in vari stili ed epoche, dal palazzo Arcivescovile il cui modulo inferiore opera di Andrea Vermexio;
Ad ovest il settecentesco palazzo Beneventano del Bosco, tra ronco Gaetani e il retro sulla via delle Carceri vecchie, edificato nel 400 dalla famiglia Arezzo, sede provvisoria della Camera Reginale e del Senato cittadino, acquistato da Guglielmo Beneventano nel 1778 e ristrutturato su disegno di Luciano Alì con lavori durati 10 anni, magnificamente abbellito, all’interno, dagli stucchi di Gregorio Lombardo, dagli affreschi e pitture di Ermenegildo Martorana, e da preziosi cristalli fatti venire da Malta e da Venezia.
Sulla facciata il monolite con le armi gentilizie dei Beneventano e l’epigrafe che ricorda la visita del Re Ferdinando di Borbone il 25 aprile 1806. Si accede al primo cortile, pavimentato con acciottolato bianco e nero, che disegna per terra un fantasioso tappeto di pietra, attraverso un vestibolo con volta decorata;
l’ottocentesco palazzo Arezzo della Targia, edificato intorno al 1850 nell’area dove prima erano le carceri vecchie dismesse nel 1835, impreziosito dalla facciata curvilinea, risultato della unificazione di diversi palazzi ristrutturati, tra la via delle carceri vecchie e ronco Gaetani.
La facciata, che seguendo la morfologia ellittica della piazza, sembra abbracciare il Duomo, delimitata da 10 pilastri che sorreggono un'elegante trabeazione di tipo merlato, e vela a travoni in pietra iblea, contraddistinta, al piano terra, da 4 portali affiancati da cinque finestre rettangolari sormontate da nove balconi racchiusi da eleganti inferriate in ferro battuto, così come nella facciata laterale che fiancheggia via delle Carceri Vecchie, abbellita da un bel portale barocco arcuato a bugnato, affiancato da due balconi con aperture rettangolari racchiuse da eleganti inferriate in ferro battuto;
sull’angolo opposto della via della Carceri vecchie, il compatto blocco dell’ex museo Archeologico edificato nel 1909, ad opera di Saverio Landolina Nava, aiutato dal Vescovo del tempo, Monsignor Filippo Maria Trigona, il quale, oltre a donare tutti i reperti e la collezione del Museo del Seminario concesse la disponibilità dell’ex Ospedale di San Giovanni di Dio dei Fatebenefratelli e la chiesa con l’annesso convento;
al civico 12, confinante col l’ex Museo Archeologico, l’ottocentesco palazzo Toscano, anch’esso edificato in parte nel sito dov’era l’Ospedale di San Giovanni di Dio;
chiude il lato sud della piazza, ad angolo con via Picherali, il palazzo Borgia-Impellizzeri, fatto edificare, intorno al 1760, da Giuseppe Maria Borgia dei baroni del Casale, in caratteristico stile rococò, uno dei più significativi edifici settecenteschi con grande modulo costruttivo ed eleganti forme architettoniche, contraddistinto dall’imponente sinuosa ringhiera in ferro battuto realizzata mensole bugnate a strisce orizzontali.
L’ingresso, al civico 10 di via Pompeo Picherali, con l'elegante scalone che conduce al piano superiore, dove, nelle stanze finemente affrescate, nacque Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, moglie morganatica di Ferdinando I di Borbone re delle due Sicilie;
la settecentesca chiesa di Santa Lucia alla Badia, in stile barocco, edificata, su iniziale progetto di Luciano Caracciolo, sulle rovine dell’antico monastero, di Santa Lucia intra moenia, distrutto dal terremoto del 1693, si erge svettante, alta metri 25 circa a chiusura della piazza.