Agatocle - Storia

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Agatocle

PERSONAGGI

   

  
  


DOCUMENTAZIONE PDF


Nacque a Therma (la città cartaginese sorta sulle rovine di Imeni) nel 366 a,C.
Una leggenda narra che ad un certo Carcino di Reggio, che viveva a Imera, sotto i Cartaginesi, fu predetta la nascita di un figlio che sarebbe stato il flagello della Sicilia e dei Cartaginesi.
Questi, terrorizzato, decise di fare sopprimere il figlio appena nato.
Lo salvò la madre affidandolo ad un suo fratello.
Carcino, alcuni anni più tardi, fu colpito dall'eccezionale intelligenza dI un bambino settenne e, pensando che anche lui, se fosse stato meno scellerato, avrebbe potuto avere un figlio della stessa età, proruppe in un pianto sincero.
La moglie commossa gli confidò che quel fanciullo che lui tanto ammirava, era proprio suo figlio.
Carcino, felice, lo abbracciò e nel contempo pensò di portarlo in salvo lontano dai Cartaginesi.
Si trasferì a Siracusa e qui il giovane visse nei più turpi vizi, sostenuto e protetto da Damaso, il più ricco cittadino di Siracusa.
Quando questi morì, Agatocle ne sposò la vedova divenendo a sua volta ricco e potente.
Proprio perchè divenuto potente e pericoloso, fu allontanto dalla città.
Vi fece rientro con la forza e assunse i pieni poteri.
Inferse ai Cartaginesi duri colpi e, per breve tempo, fu anche re dell'Africa.
Sottomise tutta la Sicilia, esclusa Agrigento; combattè anche in Italia dove conquistò Crotone, Ela, Ipponio (oggi VIbo Valentia). Fece sposare la figlia Lanassa a Pirro, re dell'Epiro.
Fu avvelenato assieme al figlio che avrebbe dovuto succedergli, dal nipote Arcagato che, comandante dell'esercito, era convinto di dovere essere proprio lui il successore del tiranno.
In punto di morte però, Agatocle convocò il popolo e dichiarò decaduta la tirannide, mentre veniva gettato nel fuoco, prima di spirare.
Nonostante tutto, Agatocle aveva regnato ben ventotto anni.

PRESUNTA TOMBA



Grazie a recenti opere di ristrutturazione dell'Hotel Panorama, ubicato nella via Grotticelle, oggi è stato reso fruibile un locus sepolturae che venne scoperto nel 1957 durante i lavori per l'allora costruendo albergo.
L'archeologo Vinicio Gentili mise in luce, dopo la rimozione di uno strato terroso di poco più di mezzo metro, una platea formata da blocchi di pietra calcarea di m 9,05 x m 8,45. Nella zona centrale due blocchi legati fra loro da grappe metalliche ed impermeabilizzati con opus signinum furono oggetto di ulteriore indagine: dopo la loro rimozione apparve una fossa scavata nella roccia (m 1,20 x m 0,70 e profonda m 0,50) entro la quale erano posizionate, l'una accanto all'altra, due urne cinerarie a cassetta di piombo con coperchio. La prima considerazione fu che la fossa, nell'originaria situazione, rimaneva nascosta sotto le fondamenta di un monumento il cui elevato era andato perduto e di cui la platea rinvenuta rappresentava l'ampio basamento. All'interno dell'urna più piccola, oltre alle ossa combuste, furono trovati frammenti fittili e resti di laminette, forse applicazioni della kline (letto funebre) che veniva posata sulla pira. Nell'urna di maggiori dimensioni, rettangolare, oltre alle ceneri, furono ritrovati, invece, due anelli d'oro di diversa grandezza, attualmente esposti nel Museo Archeologico Paolo Orsi (settore D, vetrina 319). L'anello più grande è d'oro massiccio con rubino nel castone sul quale sono incisi due pesci che nuotano verso sinistra, le cui squame sono rese con grande verosimiglianza e plasticità. Si tratta di un capolavoro di oreficeria, forse un sigillo, e il suo scopritore definì il suo artefice, il glyphìus (l'incisore) dei pesci.
Il più piccolo è di oro laminato e reca nel castone ovale una corniola con la faccia a vista piatta incisa con una testa virile volta a sinistra, i capelli cinti da diadema, rialzato al sommo del capo; una sorta di scettro in posizione obliqua è posizionato dietro il collo. In base al confronto con numerosi tipi monetali con ritratti di sovrani ellenistici (ad esempio di Alessandro Magno), la nostra testa sembrerebbe proprio quella di un dinasta e, dal momento che non vi si ravvisa nessuno dei monarchi del mondo ellenistico, Vinicio Gentili ritenne che rappresentasse un re di Siracusa. L'identikit venne risolto grazie alla datazione dell'anello - fine IV / prima metà III secolo a. C.-, che ben si addice a quel re il quale, come ci riferisce Diodoro, per primo assunse il titolo di basileus (re) a Siracusa: Agatocle ( regna dal 316 al 289 a. C.). Questa attribuzione sembra molto più vicina al vero di quella riferita ad Archimede, sostenuta da S. Ciancio nel 1965: se dobbiamo prestar fede alle parole di Cicerone, la tomba dell'illustre scienziato doveva essere improntata a grande semplicità. Il nostro sepolcro, invece, doveva configurarsi come un vero e proprio mausoleo ellenistico con solido basamento e uno sviluppo notevole sopra terra, grandioso segnacolo della tomba lungo la strada che, puntando a Nord, terminava all' Hexapylon (scala Greca), come testimoniano le tracce di carraie ad esso vicine. Ai resti di un recinto fanno poi pensare alcuni buchi nella roccia per incassi lungo il margine della strada stessa. Se da un lato il nostro monumento trova confronti nella più tarda, ma più piccola, tomba di Terone ad Agrigento, dall'altro, meglio si potrebbe paragonare al famoso Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie del mondo. La grandiosità architettonica, unitamente alla decorazione scultorea di cui si sono trovati elementi, ci consente di qualificare il monumento come uno dei più rappresentativi della Siracusa ellenistica fortemente permeata da influenze orientali.

DA WIKIPEDIA
Agatocle (greco: Ἀγαθοκλῆς; Thermae, 361 a.C. – Siracusa, 289 a.C.o 282 a.C.) fu tiranno di Siracusa dal 316 a.C., e re di Sicilia dal 307 a.C. o dal 304 a.C. alla morte.
Nato nel 361 a.C. Imera (Thermae)[1] dove risiedeva suo padre Carcino di Reghion, che - esule - nel 343 a.C. ottenne la cittadinanza nel periodo di Timoleonte e che aprì a Siracusa una fabbrica di vasellame. Agatocle, nel 333 a.C., sposò la vedova del proprio generale Damas, nell'esercito del quale ricopriva la carica di chiliarca[2]. Schieratosi nelle lotte civili con il gruppo democratico contro gli oligarchici, fu bandito due volte (da Sostrato e da Acestoride)[3]. Tornato in patria, nel 319-318 a.C. (o 316) ottenne con un colpo di stato[4] la carica di strategos (στρατηγός) con pieni poteri[5].

Unificazione della Sicilia

Nel tentativo di espandere il proprio potere e unificare la Sicilia, intraprese una lunga guerra contro i Greci di Sicilia e i Cartaginesi. Attaccò i possedimenti cartaginesi in Sicilia, espugnando Messina, per poi passare alla devastazione della campagne di Agrigento (entrando così in piena epicrazia cartaginese) ma fu battuto alla resa da Amilcare nella la battaglia di Ecnomo e la stessa Siracusa fu assediata (311 a.C.). Fuggito fortunosamente dalla città, Agatocle decise di attaccare i Cartaginesi direttamente in Africa, alleandosi nel 310 a.C. con Ofella re della Cirenaica, che disponeva di un esercito di 10.000 fanti, 600 cavalieri e 100 carri, e riuscendo quasi a espugnare la stessa Cartagine, dove sbarcò con un esercito di 13.500 uomini trasportato a bordo di 60 navi. I cartaginesi potevano invece mettere in campo 40.000 uomini, compresi 1.000 cavalieri, e 2.000 carri da battaglia. Nel primo scontro combattuto sul suolo africano le forze siracusane sconfissero quelle puniche, subendo 200 vittime contro 1.000. Nel frattempo, l'assedio a Siracusa si concludeva con un fallimento (309 a.C.); nel medesimo anno Agatocle dovette rientrare in Sicilia per fronteggiare una coalizione delle città greche capeggiata da Agrigento (308/307 a.C.), lasciando parte delle truppe in Africa al comando dei figli Arcagato ed Eraclide[6]. Lo richiamarono in Africa le difficili condizioni dell'esercito, che gli si ribellò, dopo averne uccisi i figli; riuscì a mettersi in salvo e a far ritorno in Sicilia, dove sconfisse nuovamente gli oligarchici ristabilendo il suo predominio su tutte le città greche ad eccezione di Agrigento (304 a.C.). Con i Cartaginesi pervenne infine a un accordo.

Re di Sicilia dal 307-306[7] o dal 304 a.C. governò la Sicilia con il titolo di re (basileus), mantenendo la pace all'interno e difendendo i Greci d'Italia con varie operazioni militari (il suo esercito, formato da 30.000 fanti e 3.000 cavalieri, passò lo stretto nel 299 a.C. per contrastare l'offensiva dei Lucani contro Taranto; in seguito si oppose ai Bruzi (297/293 a.C.). A causa della propria salute fu costretto a tornare in Sicilia;, nel 288 a.C. il figlio Agatocle - probabile successore - fu ucciso dal nipote Arcagato; nel medesimo anno la morte[8] gli impedì di realizzare l'impresa di una nuova spedizione in Africa, per la quale aveva provveduto ad arruolare mercenari Mamertini. Crudeli discordie tra i membri della sua famiglia lo avevano indotto a rinunciare a un successore dinastico: designò come suo erede il popolo di Siracusa.

Quando si trattò di raggiungere i propri scopi, Agatocle fu spietato, ma fu considerato un tiranno popolare. Sposò Teoxena, figlia del faraone Tolomeo I, e la figlia Lanassa sposò Pirro, re dell'Epiro. Negli ultimi anni la sua salute peggiorò: è probabile che sia morto di vecchiaia, ma alcune fonti indicano che fu avvelenato da Arcagato e Menone, con una penna d'oca che il tiranno utilizzava come stecchino. Durante la tremenda agonia, avrebbe restaurato la democrazia estromettendo il nipote dal potere.

Viene nominato nella commedia Pseudolus di Plauto. Simone, padre del protagonista Calidoro, dice a Pseudolo, suo servo:
« Se davvero, come vai proclamando, tu le compirai (riuscire ad affrancare l'amante di Calidoro, Fenicia, con le sue dracme), avrai superato quanto a valore il re Agatocle. »
Niccolò Machiavelli lo prese a modello per l'VIII capitolo de Il Principe, dove parla di coloro che presero il potere attraverso i propri crimini.
« Agatocle Siciliano, non solo di privata ma di infima e abietta fortuna, divenne re di Siracusa. Costui, nato di uno figulo, tenne sempre, per li gradi della sua età, vita scellerata: nondimanco, accompagnò le sue scelleratezze con tanta virtù di animo e di corpo, che, voltosi alla milizia, per li gradi di quella pervenne ad essere pretore di Siracusa. [...] Non può chiamare virtù ammazzare e' sua cittadini, tradire gli amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza religione; li quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello entrare e nello uscire de' periculi, e la grandezza dello animo suo nel sopportare e superare le cose avversa, non si vede perché egli abbia ad essere iudicato inferiore a qualunque eccellentissimo capitano; nondimanco, la sua efferata crudeltà e inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra gli eccellentissimi uomini celebrato. » (Machiavelli, Il Principe cap. VIII)



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