Castello Maniace
edifici svevi
la reggia di Federico II°
SIRACUSA SVEVA GUIDA AI MONUMENTI DELLA CITTA' E DELLA PROVINCIA
La reggia di Federico secondo di Svevia rielaborato e sintetizzato da Antonio Randazzo. Vedi filmato su Youtube: https://youtu.be/WqXJDUZTsFw
Archeologia-storia-memoria
Il castello sorge sulla punta estrema di Ortigia, all’imboccatura del Porto Grande, e domina da un lato il mare e dall'altro la città.
Erroneamente chiamato castello Maniace, dal nome del capitano bizantino Giorgio Maniace che nel 1038, vinti gli Arabi, fece edificare, forse, una torre difensiva, in realtà venne fatto edificare da Federico secondo di Svevia che progettò e curò personalmente i lavori affidandone la direzione a Riccardo da Lentini, il quale utilizzò maestranze locali e saraceni abili intagliatori, tra il 1232 e il 1239, data di completamento dei lavori come si evince dalle lettere lodigiane e dagli antichi marchi impressi nei singoli conci da ogni lapicida, lettere, fiori, volatili, segni geometrici per quantificare tecnicamente e amministrativamente l’opera di ogni intagliatore.
Secondo gli archeologi venne edificato nel sito dove i greci avevano edificato, secondo la tradizione, il tempio di Hera e, in età repubblicana, la dimora di Verre, come dimostrato dal reimpiego di materiali di spoglio greci e bizantini quasi certamente provenienti dalle costruzioni preesistenti.
Il tempio di Hera, il cui stilobate pare sia stato ritrovato proprio sotto la sala ipostila negli scavi condotti e diretti dal benemerito Voza nel 1990, secondo la tradizione, era sito al termine della via sacra che iniziava dal tempio di Apollo passando davanti a quello di Athena, venne edificato quasi certamente con i conci lapidei estratti dalla latomia di epoca greca visibile nel banco roccioso che si protende verso il mare e che quasi certamente si estendeva nella roccia oggi sommersa o crollata.
La pianta del castello è perfettamente quadrata, 51 metri per lato, con 4 torri circolari, inserite nella intersezione degli assi, ognuna servita da una scala a chiocciola, con feritoie, scarpa, con forma geometrica simile ad una stella ottagona, lunga tutto attorno basamento del castello che poggia su fondazioni a quote differenziate che si uniformano all'andamento altimetrico dello scoglio sottostante.
In origine, non fu concepito come opera militare, ma era difeso da una depressione naturale adattata alle esigenze della dimora che doveva ospitare l’imperatore e, successivamente, da un fossato che la separava dall’abitato.
L'interno, metri 47,40 per ogni lato, costituiva un unico ambiente nel quale erano 16 colonne libere che sorreggevano 25 volte a crociera, 4 semicolonne angolari, e 4 semicolonne a parete per ogni lato. La sala "ipostila" è ciò che rimane dell’antica struttura.
L’ampio cortile rimasto privo di copertura, come dimostra la pianta, in origine era interamente come la sala ipostila. Ancora oggi, sulle pareti, si addossano le costruzioni settecentesche di recente restaurate e conserva una grande quantità blocchi calcarei squadrati sicuramente pertinenti alla struttura originaria.
Le colonne, in pietra calcarea, a forma cilindrica, poggiano su piedistalli poligonali e culminano con capitelli polistili ricoperti da uno strato di latte di calce e presentano 2, 3 o 4 ordini di foglie ascendenti (di acanto, di palma, di vite) che si chiudono a crochet, alcuni conservati nei depositi della Soprintendenza, una figura di arpia, una statuetta panneggiata acefala assieme ad un piccolo capitello, una zampa leonina di marmo e altri numerosi frammenti.
Lungo i lati Nord-Ovest e Sud-Est della sala, erano stati realizzati quattro grandi camini, due per lato, uno dei quali, quello prossimo alla torre Nord, è andato perduto e non rimane alcun elemento originale.
2 piccoli ambienti rettangolari con copertura a crocierine, poggianti su peducci penduli, nelle torri Sud ed Est, immettono alle scale elicoidali e a due ambienti rettangolari interpretati come servizi igienici.
Nella torre Ovest c’è il vestibolo di accesso ad una delle scale che attualmente conducono al terrazzo al quale si può accedere anche dalla scala elicoidale all'interno della torre Est che nell'ultimo tratto è stata integrata con scalini di restauro in pietra bianca.
Il prospetto, nella sua veste originale, molto più alto degli attuali 12 metri, realizzato con caratteristiche tipiche delle costruzioni militari, con paramento murario perfettamente a piombo
rivestito con blocchi calcarei alti 40/45 centimetri, è contraddistinto dal portale, definito da Giuseppe Agnello una "mirabile pagina d'arte", alto metri 8,08 e largo metri 5,33, con lo strombo profondo metri 1,45 e il passaggio, metri 2,57, contornato ai due lati da fasce di colonnine impostate su piccole basi multiple che sorreggono piccoli capitelli a calice con le foglie uncinate.
Al di sopra dei capitelli, sulle mensole che ne seguono l'andamento movimentato, 4 figure zoomorfe, due per lato, oggi molto lacunose probabilmente leoni alati, ippogrifi, o rapaci.
Il portale, con il grandioso arco ad ogiva, con la cornice finemente decorata con una successione di foglie nel fastigio superiore e una serie di conci posti a zigzag, fu deturpato nel 1614 con l’inserimento dello stemma spagnolo ad opera del capitano Giovanni De Roca Maldonato.
CARLOS V EMPERADOR REJ DE ESPANA 1545/ TRASLADOSE ESTE ESCUDO EN TEMPO DE/ D.PHF.T.TPE III DÈ GRACIA REJJ DE ESPANA I DE SICILIA/ SIENDO BIRRI DESTE REINO D. PEDRO GIRON DUQ. D'OSUNA/ CASTELLANO DESTE CASTELLO PROSU. M. ES CAPITAN JOAN DE ROCA MALDONATO ANNO 1614".
Carlo V imperatore re di Spagna 1545/ trasportandosi questo scudo al tempo di/ don Filippo III per grazia di Dio re di Spagna e di Sicilia/ essendo governatore di questo regno don Pietro Giron duca di Osuna/ castellano di questo castello per sua maestà spagnola il capitano Giovanni de Roca Maldonato anno 1614
A destra e a sinistra dello stemma vi sono scolpite due coppie di colonne sorrette da una base sotto la quale, su marmo, in situ quella di destra, e l'altra conservata nei magazzini della Soprintendenza, è incisa la scritta tramandata dal Gaetani, e dal Capodieci, "Ego interficiam omnes qui affligent”, io ucciderò tutti quelli che faranno del male.
L’ingresso, forse, era munito di saracinesca, provata dalla profonda scanalatura (o caditoia) della larghezza di cm 20 nel portale o di una porta provata dell'esistenza di due fori ricavati nello spessore murario laterale dove si inseriva la spranga.
La lunetta, originariamente tamponata, forse era impreziosita con sculture o elementi zoomorfi.
Per accedere al castello, si suppone che ci fosse una rampa di scala per colmare il dislivello tra lo scoglio roccioso e l’ingresso, come dimostrato dalle tracce di fondazione del barbacane che fu costruito in epoca incerta a protezione dell'ingresso e ricoperto dall’attuale spianata quasi certamente, livellata nel 1704 dopo l'esplosione della polveriera.
L’ampia spianata che inizia dal profondo fossato artificiale che metteva in comunicazione le acque del porto Grande con quelle del mare aperto, è quasi certamente la trincea di sbarramento sveva, all’inizio della quale c’è la porta spagnola, il cui arco è delineato da una bella serie di conci disposti a raggiera, opera di Giovanni Vermexio. Il ponte in muratura sostituì il precedente ponte levatoio, come dimostrano le due profonde scanalature evidenti al di sopra dell'architrave.
Coeve alla fabbrica sveva sono le due nicchie laterali (altezza cm 62, larghezza cm 1,41), antistanti le quali sono le mensole, sorrette da peducci, che ospitavano i due famosi arieti bronzei sul conto dei quali non si conosce l’origine né l’autore.
Dei due uno solo è rimasto e si trova a Palermo presso il museo Salinas e continua ad incantare, con il suo vello minuziosamente scolpito pelo su pelo, l’elegante spirale delle corna e lo sguardo fuori dal tempo.
I disegni degli antichi viaggiatori e particolarmente quello del Merelli del 1677 e il plastico in osso e legno del XIX secolo, conservato presso la Galleria Regionale palazzo Bellomo, fanno pensare che le mura perimetrali e le torri erano in origine molto più alte e ciò confermerebbe l’esistenza di un piano superiore terrazzato, dove, con molta probabilità, e come è logico pensare, dovevano essere ambienti per il pernottamento, così come ipotizzato da Giuseppe Agnello e da altri studiosi.
L’ipotesi è confermata dalla presenza della guida della saracinesca, il cui scorrimento doveva necessariamente essere regolato da un meccanismo, (argano), posto molto più in alto rispetto all'attuale coronamento del castello, dalla presenza dei fori per l'inserimento della spranga che serviva a chiudere dall'interno le porte di accesso alle torri isolando il salone in caso di pericolo, della risega che continua oltre l'arresto della scala nella torre Ovest che indica un'altezza maggiore rispetto all'attuale e i pilastri visibili al di sopra dell'estradosso delle volte crollate nella parete interna di Nord-Est che, secondo Giuseppe Agnello non possono essere altro che i supporti per ulteriori coperture del secondo livello.
La magnifica e sontuosa costruzione sveva, secondo gli storici, aveva una funzione prettamente residenziale e di rappresentanza, destinata ad accogliere l’imperatore e il suo seguito e quindi dopo aver esaminato attentamente i testi tramandati e le foto di archivio ne deduco, che la copertura del primo livello del cortile e della sala ipostila, doveva essere ad impluvio e il dibattuto secondo livello, doveva avere piccoli ambienti poggianti sulle colonne di portata addossati alle massicce mura perimetrali con estensione limitata senza intaccare il solaio e la volta del piano terra.
Durante l’esistenza della Camera Reginale, osteggiata dal potere baronale siracusano, la regina Bianca di Navarra, fece costruire un controbaglio e, nel 1448, il generale Giovanni Ventimiglia, conte di Ceraci, suo rappresentante, trucidò venti nobili, accusati della sommossa, dopo averli invitati ad un banchetto e come premio, secondo il Fazello, ebbe i due famosi arieti bronzei.
A sinistra del portale, nel XVIII secolo, addossata al prospetto Nord-Ovest, venne edificata la chiesa di San Giacomo demolita secondo il Privitera, nel 1860.
Nel XVI secolo Carlo V fece edificare attorno all’edificio svevo i poderosi bastioni ancora esistenti e il castello fu integrato nel sistema difensivo che trasformò Ortigia in cittadella fortificata.
Nel 1704, la torre Nord e il muro di Nord-Est furono danneggiati dallo scoppio della polveriera colpita da un fulmine e l’esplosione provocò anche il crollo di 3 ordini di crociere, danneggiò i tetti del quartiere 'Trimaniaci " e le vetrate delle case e delle chiese circostanti e per riparare i danni l'ingegnere Gianola, per creare nuovi ambienti ad uso militare demolì altre 6 crociere del lato Ovest.
Dalla fine del '700 nel castello venne imprigionato a vita il conte Clemente Neri de Lapis e il castello continuò ad essere prigione durante i moti liberali.
Il generale Stuart, nel 1806, potenziò il Castello con nuove troniere dotate di 53 cannoni.
Con l’unità d’Italia il castello divenne caserma dell’esercito italiano e ulteriormente deturpato con scomposte opere murarie.
Oggi, grazie al grande ciclo di restauri operati negli anni scorsi, il monumento federiciano, un tesoro di inestimabile valore, ci presenta la fase storica, sveva della quale forse si rischiava di perdere la memoria.
Testi tratti da Siracusa sveva-guida ai monumenti della città e della provincia. Foto, immagini, documentazione e rielaborazione testi a cura di Antonio Randazzo
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