Cannamela - Giudecca quartiere medievale

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Ortigia
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Cannamela

Il Quartiere della Cannamela,(il nome dal Bastione San Domenico o Cannamela e dalla lavorazine dello zucchero di canna) che geograficamente appartiene a quello della Giudecca, è un piccolo rione settecentesco posto attorno alla Piazza San Giuseppe (vie Aracoeli-Gaetano Zummo), che un tempo era il vero e proprio "centro religioso" della città per la presenza di numerosissimi monasteri, conventi e chiese (tra cui le Chiese di San Giuseppe, San Domenico e Sant'Anna), gran parte di esse demolite o chiuse al culto per sicurezza (e non poche volte i siracusani hanno protestato vivacemente affinchè venissero restaurate e riaperte.
Questo piccolo quartiere, chiamato dai siracusani "A Cantunera ra Cannamela" (significante "L'Angolo della Cannamela") poichè qui vi erano delle botteghe in cui veniva raffinata la cosiddetta "Cannamela" (canna da zucchero). In questa zona vi erano anche dei bastioni ubicati nei pressi del poco distante Lungomare di Levante.
In questo piccolo quartiere inoltre vi è posta la Guardia Medica e la Stazione dei Carabinieri di Ortigia, ma anche il Teatro Comunale di Siracusa, i cui restauri stanno venendo completati.

vedi anche:https://www.antoniorandazzo.it/chiesesconcacrate/chiesa-san-domenico.html
https://www.antoniorandazzo.it/Monasteri/santa-maria-aracoeli.html
vedi mappa fortificazioni





Tratto da ENCICLOPEDIA DELLA SICILIA della fornitissima biblioteca-libreria messa a disposizione dall'amico Ermanno Adorno.:"Canna da zucchero. Originaria del sud-est asiatico, la saccharum officinalis fu introdotta dagli Arabi nel Mediterraneo tra il IX e il X secolo. In Sicilia la sua importanza economica esplose tra la fine del XIV e i primi decenni del XV secolo e il suo declino iniziò a metà del XVII secolo e alla fine dello stesso secolo si esaurì la sua coltivazione nonostante qualche tentativo di reimpianto. E un'erba che richiede un clima caldo, molta acqua e lavorazioni accurate, prerogative che inizialmente l'assimilano agli orti "urbani", dove, soprattutto a Palermo, se ne sviluppò la coltura. Ha una vita triennale e per ciascun anno prende un nome diverso ("gidida", "cannamela", "stirpimi"). Quindi veniva estirpata ("stirpuniari") e sostituita con le piantine ("chiantimi") ricavate dai germogli. L'impianto si effettuava in marzo, il taglio in novembre, imponendo un sistema di irrigazione complesso e la costruzione di acquedotti, come quello quattrocentesco di Bagheria-Ficarazzi (v.). Raccolta in "fasci" e trasportata nell'impianto industriale, "trappeto", veniva macinata da una ruota idraulica, ottenendo un impasto messo in "sacchi", spremuto da "stringitori", presse a vite, mossi da uomini. Il liquido, fatto bollire in grandi caldaie di rame che conferiva all'ambiente un aspetto "infernale", era posto quindi in vasi dalla forma conica,"furmi". da cui le impurità, scorrevano attraverso un foro in altri vasi a forma cilindrica, "cantarelli", dove si raccoglievano per una successiva lavorazione. Raffreddati e raggiunta una consistenza solida, i "pani" di zucchero venivano lasciati ad asciugare per 40 giorni su scaffali ("scaffe"), e quindi esportati con la supervisione, durante tutta la fase di lavorazione, del "mastro di zuccheri", retribuito con un salario elevatissimo. La sua produzione si sviluppò lungo tutte le coste dell'isola. Circa 45 impianti industriali concentrati soprattutto nel palermitano, messinese, siracusano che hanno dato luogo in più di un caso a veri "poli" come è per Bagheria-Ficarazzi (presso Palermo), Roccella-Bonfornello-Garbinogara (presso Cefalù), Schisò-Calatabiano presso Taormina,

San Cusmano-Melilli presso Augusta. Per il suo alto costo (in Sicilia tra Quattrocento e Seicento un lavoratore del cannameleto o del trappeto doveva lavorare 2-3 giorni per poterne comperare un kg.), lo zucchero rimase un prodotto di élites e diventerà "di massa" solo nel secondo Cinquecento con l'introduzione dello zucchero "americano", accoppiandosi al caffè, alla cioccolata e al thè. Da un iniziale uso farmaceutico o "magico" (olio d'orso e zucchero erano gli ingredienti- base per un irresistibile filtro amoroso nel XII secolo) si passò ad uno alimentare sempre più diffuso dal Cinquecento. E sulle tavole dei ceti più elevati si trovavano in un unico pezzo d'argento "salera, spizera e zuccarera".

"trionfi" di zucchero che concludevano i pranzi più sontuosi erano delle vere sculture che dovevano suscitare la meraviglia dei commensali. Oggi i "pupi di zucchero", tipica produzione dolciaria siciliana del giorno in cui si festeggiano i morti, che rappresentano, significativamente, cavalieri e dame, ne sono la continuazione. Numerose furono le famiglie aristocratiche coinvolte in questa proficua attività commerciale, con esportazioni in Italia e nel nord Europa, fino a quando la concorrenza internazionale ne decretò un irreversibile declino. I viaggiatori infatti che si spinsero in Sicilia alla fine Settecento fecero in tempo a vedere qualche campo di “cannamela”

Bagheria-Ficarazzi, ponte-acquedotto. Venne eretto nel 1443 per l'approvigionamento idrico, dalle sorgenti di Bisalaimi, dei centri più importanti dell'industria della canna da zucchero (v.), Ficarazzi e Bagheria, nei pressi di Palermo. La grandiosa costruzione lunga circa 120 metri, che si compone di 17 arcate e i cui piloni centrali sono alti circa 12 metri, fu commissionata al mastro barcellonese Antonio de Zorura dagli imprenditori dello zucchero Pietro Campo (suo è lo stemma incastonato tutt'oggi sul ponte), Ubertino Imperatore e Pietro Speciale. Enfatiche le parole dei contemporanei. 11 cronista Pietro Banzano scriveva: "Pietro Campo un poco innanti (edificò) lo conducto di lo quali essendo edificati multi et assaissimi archi altissimi et a vidirsi mirabili, undi indussi lo curso di l'acqua multo amplissimo chiamato Bacharia di uno vocabulo arabico; opera certo tanto nobili, chi non senza causa si purria equiparari ali antiquissimi operi di qualunque generationi li quali perfina a lo presenti ormai durano sei miglia lontano di Termini...". Il riferimento obbligato per un umanista è l'acquedotto romano ancora oggi visibile a Termini Imerese. Più volte restaurato è servito ad irrigare fino agli anni Sessanta del XX secolo gli agrumeti della zona. E il simbolo dell'industria zuccheriera siciliana: sotto gli occhi di tutti, imponente, ignorato, (am) Antonino Morreale"


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