Canna da Zucchero - Giudecca quartiere medievale

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Ortigia
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Canna da Zucchero

Canna da zucchero.
La Canna da zucchero, originaria del sud-est asiatico, la saccharum officinali, fu introdotta dagli Ambi nel Mediterraneo tra il IX e il X secolo.
In Sicilia la sua importanza economica esplose tra la fine del XIV e i primi decenni del XV secolo e il suo declino iniziò a metà del XVII secolo e alla fine dello stesso secolo si esaurì la sua coltivazione nonostante qualche tentativo di reimpianto.
È un'erba che richiede un clima caldo, molta acqua e lavorazioni accurate, prerogative che inizialmente l'assimilano agli orti "urbani", dove, soprattutto a Palermo, se ne sviluppò la coltura.
Ha una vita triennale e per ciascun anno prende un nome diverso ("gidida", "cannamela**, "stirpuni").
Quindi veniva estirpata ("stirpuniari") e sostituita con le piantine ("chiamimi") ricavate dai germogli.
L'impianto si effettuava in marzo, il taglio in novembre, imponendo un sistema di irrigazione complesso e la costruzione di acquedotti, come quello quattrocentesco di Baghcria-Ficarazzi (v.).
Raccolta in "fasci" e trasportata nell'impianto industriale, "trappeto", veniva macinata da una ruota idraulica, ottenendo un impasto messo in "sacchi", spremuto da "stringitori", presse a vite, mossi da uomini.
Il liquido, fatto bollire in grandi caldaie di rame che conferiva all'ambiente un aspetto "infernale", era posto quindi in vasi dalla forma conica,"furmi", da cui le impurità, scorrevano attraverso un foro*: in altri vasi a forma cilindrica, "cantarelli", dove si raccoglievano per una successiva lavorazione.
Raffreddati e raggiunta una consistenza solida, i "pani", di zucchero venivano lasciati ad asciugare per -40 giorni in scaffali ("scaffe"), e quindi esportati con la supervisione, durante tutta la fase di lavorazione, del "mastro di zuccheri", retribuito con un salario elevatissimo.
La sua produzione si sviluppò lungo tutte le coste dell'isola.
Circa 45 impianti industriali concentrati soprattutto nel palermitano, messinese, siracusano che hanno dato luogo in più di un caso a veri "poli" come è per Bagheria-Ficarazzi (presso Palermo), Roccella-Bonfornello-Carbinogara (presso Cefalù), Schisò-Calatabiano presso Taormina, o San Cusmano-Melilli presso Augusta.
Per il suo alto costo (in Sicilia tra Quattrocento e Seicento un lavoratore del cannameleto o del trappeto doveva lavorare 2-3 giorni per poterne comprare un kg, lo zucchero rimase un prodotto di étiles e diventerà "di massa" solo nel secondo Cinquecento con l'introduzione dello zucchero "americano", accoppiandosi al caffè, alla cioccolata e al the.
Da un iniziale uso farmaceutico o "magico" (olio d'orso e zucchero erano gli ingredienti base per un irresistibile filtro amoroso nel XII secolo) si passò ad uno alimentare sempre più diffuso dal Cinquecento.
E sulle tavole dei ceti più elevati si trovavano in un unico pezzo d'argento "salera, spizera zuccarera".
I "trionfi" di zucchero che concludevano i pranzi più sontuosi erano delle vere sculture che dovevano suscitare la meraviglia dei commensali.
Oggi i "pupi di zucchero", tipica produzione dolciaria siciliana del giorno in cui si festeggiano i morti, che rappresentano, significativamente, cavalieri e dame, ne sono la continuazione.
Numerose furono le famiglici aristocratiche coinvolte in questa proficua attivila commerciale, con esportazioni in Italia c nel nord Europa, fino a quando la concorrenza internazionale ne decretò un irreversibile declino. I viaggiatori infatti che si spinsero in Sicilia alla fine dell'Ottocento fecero in tempo a vedere ancora qualche campo di Cannamela.

Cannella Salvatore, prelato (Palermo?)



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