catacombe Santa Lucia storia
Storia delle Catacombe a cura di MariaRita Sgarlata:Dalla catacomba ai loca sancta; la storia archeologica di Lucia
È un paradosso ma non diverso da altri centri che, nell'arco dei secoli III e IV, la città cristiana viva prevalentemente nei cimiteri di comunità. A Siracusa, sia dentro che fuori le mura appare, abbastanza chiaro come la città cristiana, se poi è mai esistita una città cristiana, conviva con la città classica e come gli spazi dell'una interagiscano con gli spazi dell'altra.
Questo interessa sia la città dei vivi (in particolare i quartieri di Or- tigia e Neapolis) che la città dei morti e in questo caso ci si sposta nei due quartieri di Akradina e Tyche, densi di cimiteri privati e cimiteri di comunità, tutti rigorosamente sotterranei, nei quali non sempre i materiali rinvenuti danno informazioni puntuali sulla reale matrice ideologica e sulla profondità di assorbimento del nuovo credo nel tessuto sociale della popolazione. A Siracusa il culto tributato a Lucia trova il suo teatro naturale nei due quartieri "funerari", che dall'età classica all'età tardoantica e altomedievale hanno subito rilevanti modifiche insediative con una progressiva rifunzionalizzazione degli spazi, delimitati da una cinta muraria, il cui tracciato segue le vicende storiche della città e non sembra ricostruibile proprio per le fasi cronologiche più tarde.
Ricostruire un quadro della topografia martiriale del suburbio siracusano significa innanzitutto fare emergere la pratica devozionale e il grande movimento dei pellegrini che, tra i secoli VI e XIII, si dirigevano verso la tomba della martire Lucia, inclusa nel grande cimitero collettivo a lei intitolato; bisogna ammettere che spesso le scarse informazioni, desunte dalle fonti letterarie ed epigrafiche, stentano ad incrociarsi con i dati forniti dall'archeologia. La documentazione siracusana, come quella di altre città siciliane, non si sottrae al prevalente modello martiriale e all'edificio agiografico costruito nel solco indicato dalla tradizione geronimiana, che ritaglia un ruolo significativo a Lucia e al culto connesso, in un periodo in cui il patronus celeste diventa una replica spirituale dell'aristocrazia terrestre.
Nebulosa appare la reale estensione della zona intramuranea in età tardoantica, che la letteratura archeologica delimita tradizionalmente con la corona dei cimiteri cristiani.
Non diversamente da Catania, è infatti ipotizzabile che, nei secoli più tardi, la difesa di Siracusa fosse comunque assicurata dalla sopravvivenza del sistema di età classica, un sistema che doveva dimostrare non poche falle se, al momento dell'ascesa al trono di Atalarico nel 526, necessitava di interventi di una certa entità, almeno secondo quanto riferisce Cassiodoro.
La notizia deve essere letta attraverso il filtro della propaganda: insistere sulle precarie condizioni delle mura delle città conquistate significava rafforzare l'immagine di Teodorico come restitutor urbium, che sarebbe stata ereditata anche dai suoi successori.
Dinamiche già note in altri luoghi del mondo cristiano antico presiedono alla trasformazione di alcuni spazi dei cimiteri comunitari, una volta esaurita la loro funzione funeraria nei primi decenni del VI sec.: nella cripta di S. Marciano e nei due cimiteri di Vigna Cassia e S. Lucia, i settori riservati a sepolture venerate, o in connessione con esse, vengono trasformati in loca sancta, poli devozionali per un periodo straordinariamente lungo.
Secondo una tesi seducente, ma in verità scarsamente puntellata, che suggerirebbe un ritorno quasi ciclico dell'antica funzione cultuale in luoghi destinati per un lungo periodo ad essere utilizzati per il seppellimento, l'area di Acradina in cui venne scavato l'ipogeo funerario, che avrebbe accolto il corpo di Marciano, era stata qualificata in età greco- classica dal temenos delle Thesmophoroi. L'impianto funerario, i cui resti di arcosoli polisomi e fosse terragne sono ancora visibili, aveva riservato, alla metà del III sec. circa, uno spazio alla degna sepoltura del proto vescovo di Siracusa, Marciano, ipotecando così lo sviluppo futuro del luogo.
Una situazione più chiara si delinea per il cimitero di S. Lucia, nel quale la trasformazione di alcuni spazi funerari in oratori sotterranei segue le dinamiche di interventi strutturali, noti nei cimiteri del suburbio romano come in tutto il bacino del Mediterraneo. Gli interventi monumentali, risalenti ad età bizantina, danno origine all'oratorio della regione A, trasformato in cisterna nel 20 XV sec., e all'oratorio della regione C, con triplice strato di affreschi, aperto al culto almeno fino alla metà del XIII sec. Entrambi gli oratori dovevano essere in rapporto con il monastero soprastante, ricordato da Gregorio Magno, ma soprattutto trovavano la loro ragione di esistere nella presenza del sepolcro di Lucia. L'oratorio presenta la volta decorata da un affresco che riproduce il tema del martirio dei Quaranta Martiri di Sebaste, databile all'VIII sec., secondo una scelta - quella di accostare Lucia ai Quaranta Martiri - che non appare casuale e che viene suggerita da alcune fonti.
Per l'iconografia dell'oratorio rimando, in questa stessa sede, alla suggestiva lettura di Giulia Arcidiacono.
I due oratori del cimitero di Santa Lucia rivelano in pianta una contiguità topografica con il sepolcro della santa, collegamento interrotto proprio dal taglio di trincea per la costruzione nel Seicento della Chiesa del Sepolcro che, per potenziare il valore attrattivo della tomba, la separò dal resto del cimitero di comunità. Nell'isolamento documentario cui è costretta la Sicilia e Siracusa rispetto ad altri centri del mondo cristiano antico, il culto di Lucia è uno dei pochi ad essere dotato di una più solida costruzione agiografica. Se l'iscrizione di Euskia, rinvenuta nella catacomba di San Giovanni e datata agli inizi del V sec., conferma la storicità della notizia fornita dal Martirologio Geronimiano sulla devozione popolare devozione popolare nei confronti della santa, manifestatasi fin dall'inizio con la celebrazione di una festa, l'archeologia attesta la continuità del culto della santa nel cimitero sotterraneo, negli oratori e nella basilica superiore.
Per la lettura dell'iscrizione e la valenza documentaria rimando al contributo di Carmelo Scandurra nelle pagine seguenti.
Come si è detto, accostare Lucia ai Quaranta Martiri di Sebaste era piuttosto usuale: a Catania, un episodio della Vita di san Leone racconta che il vescovo avrebbe edificato in città una chiesa consacrata a Santa Lucia e un'altra dedicata ai Quaranta Martiri, in onore quindi di una martire siciliana e di martiri greco-orientali, oggetto di particolare venerazione nel mondo bizantino.
Il biografo, che riferisce fatti ascrivibili alla seconda metà dell'Dalla catacomba ai loca sancta; la storia archeologica di Lucia
È un paradosso ma non diverso da altri centri che, nell'arco dei secoli III e IV, la città cristiana viva prevalentemente nei cimiteri di comunità. A Siracusa, sia dentro che fuori le mura appare, abbastanza chiaro come la città cristiana, se poi è mai esistita una città cristiana, conviva con la città classica e come gli spazi dell'una interagiscano con gli spazi dell'altra.
Questo interessa sia la città dei vivi (in particolare i quartieri di Or- tigia e Neapolis) che la città dei morti e in questo caso ci si sposta nei due quartieri di Akradina e Tyche, densi di cimiteri privati e cimiteri di comunità, tutti rigorosamente sotterranei, nei quali non sempre i materiali rinvenuti danno informazioni puntuali sulla reale matrice ideologica e sulla profondità di assorbimento del nuovo credo nel tessuto sociale della popolazione. A Siracusa il culto tributato a Lucia trova il suo teatro naturale nei due quartieri "funerari", che dall'età classica all'età tardoantica e altomedievale hanno subito rilevanti modifiche insediative con una progressiva rifunzionalizzazione degli spazi, delimitati da una cinta muraria, il cui tracciato segue le vicende storiche della città e non sembra ricostruibile proprio per le fasi cronologiche più tarde.
Ricostruire un quadro della topografia martiriale del suburbio siracusano significa innanzitutto fare emergere la pratica devozionale e il grande movimento dei pellegrini che, tra i secoli VI e XIII, si dirigevano verso la tomba della martire Lucia, inclusa nel grande cimitero collettivo a lei intitolato; bisogna ammettere che spesso le scarse informazioni, desunte dalle fonti letterarie ed epigrafiche, stentano ad incrociarsi con i dati forniti dall'archeologia. La documentazione siracusana, come quella di altre città siciliane, non si sottrae al prevalente modello martiriale e all'edificio agiografico costruito nel solco indicato dalla tradizione geronimiana, che ritaglia un ruolo significativo a Lucia e al culto connesso, in un periodo in cui il patronus celeste diventa una replica spirituale dell'aristocrazia terrestre.
Nebulosa appare la reale estensione della zona intramuranea in età tardoantica, che la letteratura archeologica delimita tradizionalmente con la corona dei cimiteri cristiani.
Non diversamente da Catania, è infatti ipotizzabile che, nei secoli più tardi, la difesa di Siracusa fosse comunque assicurata dalla sopravvivenza del sistema di età classica, un sistema che doveva dimostrare non poche falle se, al momento dell'ascesa al trono di Atalarico nel 526, necessitava di interventi di una certa entità, almeno secondo quanto riferisce Cassiodoro.
La notizia deve essere letta attraverso il filtro della propaganda: insistere sulle precarie condizioni delle mura delle città conquistate significava rafforzare l'immagine di Teodorico come re-stitutor urbium, che sarebbe stata ereditata anche dai suoi successori.
Dinamiche già note in altri luoghi del mondo cristiano antico presiedono alla trasformazione di alcuni spazi dei cimiteri comunitari, una volta esaurita la loro funzione funeraria nei primi decenni del VI sec.: nella cripta di S. Marciano e nei due cimiteri di Vigna Cassia e S. Lucia, i settori riservati a sepolture venerate, o in connessione con esse, vengono trasformati in loca sancta, poli devozionali per un periodo straordinariamente lungo.
Secondo una tesi seducente, ma in verità scarsamente puntellata, che suggerirebbe un ritorno quasi ciclico dell'antica funzione cultuale in luoghi destinati per un lungo periodo ad essere utilizzati per il seppellimento, l'area di Acradina in cui venne scavato l'ipogeo funerario, che avrebbe accolto il corpo di Marciano, era stata qualificata in età greco- classica dal temenos delle Thesmophoroi. L'impianto funerario, i cui resti di arcosoli polisomi e fosse terragne sono ancora visibili, aveva riservato, alla metà del III sec. circa, uno spazio alla degna sepoltura del proto vescovo di Siracusa, Marciano, ipotecando così lo sviluppo futuro del luogo.
Una situazione più chiara si delinea per il cimitero di S. Lucia, nel quale la trasformazione di alcuni spazi funerari in oratori sotterranei segue le dinamiche di interventi strutturali, noti nei cimiteri del suburbio romano come in tutto il bacino del Mediterraneo. Gli interventi monumentali, risalenti ad età bizantina, danno origine all'oratorio della regione A, trasformato in cisterna nel 20 XV sec., e all'oratorio della regione C, con triplice strato di affreschi, aperto al culto al¬meno fino alla metà del XIII sec. Entrambi gli oratori dovevano essere in rapporto con il monastero soprastante, ricordato da Gre¬gorio Magno13, ma soprattutto trovavano la loro ragione di esistere nella presenza del sepolcro di Lucia. L'oratorio presenta la vol¬ta decorata da un affresco che riproduce il tema del martirio dei Quaranta Martiri di Sebaste, databile all'VIII sec., secondo una scelta - quella di accostare Lucia ai Quaranta Martiri - che non appare casuale e che viene suggerita da alcune fonti14. Per l'iconografia dell'oratorio rimando, in questa stessa sede, alla suggestiva lettura di Giulia Arcidiacono. I due oratori del cimitero di Santa Lucia ri¬velano in pianta una contiguità topografica con il sepolcro
con il sepolcro della santa (Fig. 2), collega¬mento interrotto proprio dal taglio di trincea per la costruzione nel Seicento della Chiesa del Sepolcro15 che, per potenziare il valore attrattivo della tomba, la separò dal resto del cimitero di comunità. Nell'isolamento docu¬mentario cui è costretta la Sicilia e Siracusa rispetto ad altri centri del mondo cristiano antico, il culto di Lucia è uno dei pochi ad essere dotato di una più solida costruzione agiografica. Se l'iscrizione di Euskia, rinve¬nuta nella catacomba di San Giovanni e da¬tata agli inizi del V sec., conferma la storicità della notizia fornita dal Martirologio Gero- nimiano sulla devozione popolare devozione popolare nei confronti della santa16, manife¬statasi fin dall'inizio con la celebrazione di una festa, l'archeologia attesta la continuità del culto della santa nel cimitero sotterraneo, negli oratori e nella basilica superiore. Per la lettura dell'iscrizione e la valenza docu¬mentaria rimando al contributo di Carmelo Scandurra nelle pagine seguenti. Come si è detto, accostare Lucia ai Quaran¬ta Martiri di Sebaste era piuttosto usuale: a Catania, un episodio della Vita di san Leone racconta che il vescovo avrebbe edificato in città una chiesa consacrata a Santa Lucia e un'altra dedicata ai Quaranta Martiri17, in onore quindi di una martire siciliana e di martiri greco-orientali, oggetto di partico¬lare venerazione nel mondo bizantino. Il biografo, che riferisce fatti ascrivibili alla seconda metà dell'Vili sec. e che mostra un uso consapevole delle indicazioni topogra¬fiche, associa quindi il culto di santa Lucia a quello dei Quaranta Martiri, collegando l'edificazione delle due chiese catanesi ad un unico committente, il vescovo Leone. A Siracusa l'identità del committente ri¬mane anonima, o comunque seppellita nel silenzio dell'operosità dei monaci, dal mo¬mento che la presenza dell'oratorio, come degli altri limitrofi, è in evidente rapporto con una fondazione monastica intitolata a S. Lucia e attestata già nel 597 in un'epistola di Gregorio Magno, di cui è documentata l'attività fino al XII secolo. Fissare la cronologia dell'affresco dell'oratorio in esame all'VIII sec. fa presumere che il culto di Lucia e dei Quaranta Martiri fosse stato importato a Catania sotto la diretta influenza di quel primato, che Siracusa esercitava sulla città etnea.
Già prima, sotto il pontificato di Gregorio, il controllo della vita ecclesiastica siciliana passava attraverso la sede episcopale siracusana, nel costante sforzo di cementare il legame tra Sicilia e Roma, intaccato, anche sul piano liturgico, dalla presenza bizantina nell'isola.
L'opera di potenziamento del culto tributato a Lucia, legata all'iniziativa di Gregorio, trova a Siracusa una conferma proprio nella fondazione del suddetto monastero sul luogo della sepoltura della santa, che viene dunque rilanciato nella seconda metà del VI come polo devozionale.
Mentre però la fondazione del monastero è certificata da fonti contemporanee e attendibili, la costruzione della basilica, destinata a custodire le reliquie della santa e ad accogliere i fedeli, viene attestata dalle due redazioni, greca e latina, della contestata passio (aedificata est in eodem loco basilica) per trovare la definitiva, ma non convincente, consacrazione nelle Vitae di Ottavio Gaetani e nella Sicilia Sacra di Rocco Pirri.
È sempre la stessa passio a sottolineare la funzione aggregante della sepoltura della santa, che "attrae fedeli dalle città vicine e favorisce il flusso dei pellegrinaggi".
A distanza di tempo dal pontificato di Gregorio avere associato, nel corso dell'VIII sec., i culti di Lucia e i Quaranta Martiri, equiparando la devozione locale a quella del mondo greco-orientale si presta ad una logica interpretativa che, più che confermare le spinte autonomistiche e il «distacco centrifugo» della Sicilia sia da Roma che da Costantinopoli, sembra restituire la Sicilia all'Oriente bizantino, confermando i timori e le preoccupazioni che la Chiesa romana aveva nutrito all'epoca di Gregorio Magno nei confronti di un'isola, tornata ad essere soprattutto greca.
Dell'oratorio della regione C , allo stato attuale, sfuggono i contorni dell'impianto originario, alterato da una serie di rimaneggiamenti strutturali che sembrano coprire un arco cronologico piuttosto ampio, che sono attualmente in corso di studio nell'ambito del progetto complessivo di edizione dell'importante complesso monumentale.
Nella fase più antica, espressa dai primi strati, numerosi graffiti, ancora sostanzialmente inediti, si espandono a macchia d'olio sulle figure dei santi riprodotte sulle pareti; lo studio di questa inaspettata fonte epigrafica si configura come un tassello fondamentale per la comprensione del fenomeno del pellegrinaggio sulla tomba della martire Lucia.
Anche il secondo oratorio bizantino rivela, sotto gli strati pittorici dei secoli successivi, tracce di pittura ascrivibili ad un periodo prenormanno, distinguendosi dall'oratorio dei Quaranta Martiri per un uso più prolungato nel tempo, che indica nelle stratificazioni una prosecuzione del culto fino alla seconda metà del XIII sec. Resta da definire la capacità di accoglienza delle strutture limitrofe ai loca sancta, primo tra tutti il monastero, ma anche le abitazioni private, gli ospizi, nonché altre strutture, tra le quali si annovera l'edificio termale, noto come Bagno Dafne, ascrivibile al VI-VII sec., non distante dal cimitero di S. Lucia e ormai a ridosso dell'area portuale (Porto piccolo e Lakkios); quale fosse quello che, a ragione, è stato definito «l'indotto devozionale» di questi luoghi. Appare evidente come il culto di S. Lucia fosse destinato a sopravvivere nei santuari extramuranei anche oltre il momento della traslazione del corpo a Costantinopoli, avvenuta ad opera di Giorgio Maniace nel 1039, perché «quando una reliquia veniva rubata o venduta era impossibile rubarne o venderne la funzione legata alla collocazione originaria» e, proprio per questo, l'asportazione delle reliquie non comportava necessariamente un disinteresse per la frequentazione dei loca sancta.
Il fenomeno dell'inurbamento delle sepolture non sembra sfiorare i corpi santi, se le fonti non registrano alcun tentativo di allontanarli dalle loro posizioni originarie almeno fino al X secolo. Anche se è difficile accettare l'idea che la chiesa e il monastero, attestato fin dall'età gregoriana, fossero nati in momenti differenti, nonostante i reiterati sforzi, la fase bizantina della chiesa di S. Lucia extra
moenia non è mai stata pienamente dimostrata dai resti monumentali, che appaiono invece palesemente debitori della tradizione architettonica d'età normanna. Gli oratori per il culto nel cimitero di S. Lucia furono dotati di un accesso diretto dalla superficie che va presumibilmente ricercato lungo la balza della cava (detta chiusa De Bonis, che dava l'accesso al poco noto cimitero omonimo), ancora visibile in immagini degli inizi del Novecento, prima che la pianificazione edilizia della Borgata ne modificasse radicalmente La funzione del santo come difensore e protettore della città è un punto fermo delle fonti agiografiche; lo testimonia la passio di Lucia: "a Lucia, in pellegrinaggio presso la tomba di Agata, appare la martire catanese per illustrarle il ruolo di protezione e custodia che entrambe svolgono a favore delle città di provenienza". Se anche volessimo escluderne un uso finalizzato all'identificazione del circuito murario di Siracusa, la dislocazione topografica dei tre santuari martiriali della città (Cripta di San Marciano, Cimitero Maggiore di Vigna Cassia e oratori di Santa Lucia) assolverebbe comunque ad un compito, più volte segnalato per altri centri, di proteggere per un lungo tratto la città, più di quanto non sarebbero riuscite a fare le mura stesse, difendendola simbolicamente grazie alla presenza delle tombe venerate, che rinnovavano la memoria del martirio e della santità sia ai pellegrini che agli invasori. Gli eroi a difesa della città lasciavano lo scettro ai martiri e ai santi, il cui culto propone spesso modelli devozionali che affondano le radici proprio negli antichi rituali popolari in onore degli dei.