la mia vita dalle origini ai nstri giorni
Antonio Randazzo si racconta
Antonio Randazzo siracusano
Cerco me stesso e racconto.
Eterno bambino, ricordo il passato, vivo il presente e progetto il futuro.
Non so chi sono e vorrei tanto saperlo.
Tenterò di scoprirlo documentando ciò che ricordo.
Ottantunenne, seduto nel mio laboratorio di via Agostino Scilla civico 29, mi soffermo a guardare ciò che feci nel tempo, chiedendomi, se sono veramente io l’autore.
Siracusano di antica generazione, già presente in questa meravigliosa città dai primi anni dell’800, nacqui in una modesta, ma decorosa casa, in via Gargallo al civico 28, all’alba di sabato 22 Giugno 1940, da Carmelo contadino, e da Concetta Midolo, sarta di biancheria, figlia della sua maestra, donna Maricchia, al secolo Maria Moscuzza, una delle più brave sarte artigiane di biancheria del tempo, abitante in un vano terraneo al civico 24, accanto all’edicola di San Gaetano non più esistente.
Insieme a mia sorella Annetta, classe 1930, morta di pleurite a 16 anni e 4 mesi, al mio fratellino Concetto, (i due miei fratelli maggiori erano via per ragioni di guerra e di lavoro), abitammo nella casa a piano terra, uno stanzone con soffitto a botte ed una finestra, a sinistra della porta d’ingresso, dove da bambino usavo mangiare la zuppa di latte, e la cucina, poco più che un corridoio nella quale, in una nicchia praticata nel muro, era il gabinetto con accanto il lavabo.
In quelle lunghe e insonni notti del 1943 vissi i terribili anni di guerra al suono delle sirene, il sibilo e lo scoppio delle bombe e tra le macerie nella mia strada giocando negli androni delle case distrutte dalle bombe. Umiliato, ricordo ancora gli invasori inglesi accasermati nel plesso scolastico del Liceo Gargallo, antico convento di San Filippo Neri e i soldati, ubriachi e chiassosi, bivaccare o girare per la mia città.
Avevano allocato la cucina a piano terra, nell’ultima stanza a destra, con accesso dalla finestra del cortile che avevano tagliato trasformandola in ingresso senza porta.
Un giorno camminando per via Vittorio Veneto, a masciarrò, guardando dall’ingresso, sul retro del liceo Gargallo, mi fermai a guardare un soldato di guardia all’interno del cortile. Incuriosito guardai dietro la porta aperta e senza pensarci due volte afferrai la gavetta contenente il gavettino e le posate in argentana, e di corsa scappai col bottino a casa dove mia madre arrabbiatissima mi sculacciò a dovere.
A sei anni compiuti frequentai le cinque classi elementari presso le “scuole Nuove” come erano chiamate allora, in via dei Mergulense, a Spirduta, allora via dei Gracchi e nel contempo, garzone di bottega dal costruttore di sedie, Don Jachino Nardone, di fronte a casa mia, al civico 27.
In quegli anni, nei momenti liberi, con gli altri bambini giocavamo e buttuni, a manuzza, a spacca mattuni con le monete fuori corso, i ru soddi e a nichila che era il 4 centesimi in nikel, e con attrezzi che ci costruivamo come u scannellu, a zabbatana, a freccia fatta con un ago infilato in un osso di nespola che roteando lanciavamo su un portone dove segnavamo con un cerchio il bersaglio e l'arco costruito con una stecca di vecchio ombrello e il monopattino o u carrittulu con manubrio e per ruote vecchi cuscinetti.
Vivevamo con gioia il tempo libero giocando con l’aquilone che ci costruivamo, e una serie di giochi ludici che ci inventavamo, il salto e le corse, all’Italia a Francia, a muttragghia, a travalenti passu, co tuppettu, o sceccu, , in un infinito passatempo.
Pericolosamente facevamo scoppiare bombe da noi costruite utilizzando a pruvuli" recuperata in fondo al mare della marina da una zattera militare affondata. Una latta era il contenitore che riempivano con ditalini di polvere da sparo e per micia uno spaghetto della stessa sostanza.
E poi e cattuzzi soffiando le raccolte di figurine dei calciatori, degli attori del cinema americano in voga in quegli anni.
Apprendista, crebbi tra trucioli, segatura e resine, respirando il profumo del legno nelle botteghe dei maestri don Sebastiano Piccione, sita allora nell’antica chiesa sconsacrata dei Cavalieri di Malta, Andrea Antoci, con bottega in via Gargallo, civico 61, dentro il portone Minniti, e Carmelo Midolo, in via Mendoza, dai quali imparai i segreti del mestiere che i miei genitori avevano pensato per il mio futuro.
Frequentai per 5 anni, dal 1951 al 1955, la sezione ebanisteria nella locale scuola d’Arte e mestieri, allora in via Mirabella, nell’antico Monastero del Ritiro, scelta dai miei genitori per imparare meglio le tecniche di base dell’ebanista.
Vissi con disagio gli anni di frequenza nella classe con Angelo Cortese, Enzo Mudanò, Franco Cacciatore, Giuseppe Civello, Lino Ciranna, Sirugo Franzo, ed altri, già bravi artisti, che furono e sono nel panorama siracusano del 900, e con rabbia e delusione, ricordo l’insegnante di disegno la quale, invece di lodarmi incoraggiando i miei sforzi, aspramente mi rimproverò accusandomi di aver copiato la foglia di fico utilizzando il vetro della finestra che con il massimo impegno, utilizzando la riga centimetrata, ero riuscito a copiare dall’originale e che durante un’altra esercitazione in zona “calafatari”, giudicò legnoso il disegno dal vero che gli presentai.
Amareggiato subii la poca comprensione dei docenti che ironizzando mi consigliavano di arruolarmi nell’Arma dei Carabinieri, senza tenere conto del rischio di farmi precipitare nello sconforto con conseguenti danni psichici in quei momenti di crescita adolescenziale.
Preside della scuola era Ferruccio Ferri, vero maestro, dal quale imparai le tecniche innovative dell'intarsio realizzato con i reticoli delle pale di fico d'india essiccati e del tradizionale con fogliette di varie essenze e nulla, apparentemente, rimase dall’esperienza scolastica, solo un intarsio, una annunciazione stilizzata, che realizzai scopiazzando il disegno di altro studente.
Bocciato agli esami finali, lasciai la scuola nel 1956 e lavorai, quale ebanista-restauratore, fino al 1960, quando, dovendo rispondere alla chiamata di leva militare scelsi di arruolarmi nell’Arma dei Carabinieri iniziando la carriera da allievo carabiniere a Torino presso la caserma Cernaia fino al 13 Giugno 1961.
In quella storica notte di fuoco, per l’Alto Adige in rivolta, su una tradotta militare fummo portati a presidiare punti sensibili in quella regione e fui destinato a Tell, frazione del comune di Parcines, in val Venosta, dove alloggiammo in un alberghetto requisito chiamato Bad Egart. Poi, per alcuni mesi in servizio a Bolzano città dove un giorno, in libera uscita, con il collega Rimaudo a bordo del suo motorino Orsetto, andammo a nuotare sul fiume Adige con la corrente che mi trascinò per circa 300 metri e grazie ad una provvidenziale insenatura mi salvai dall’annegamento.
Nel 1962, trasferito a Milano in via Moscova, sede della Legione, in attesa di destinazione, frequentai corsi di specializzazione presso il BTG mobile “Lamarmora”.
Venni destinato a Varese ma subito trasferito perché li risiedeva mio fratello Nuccio, e fui inviato a Corteolona in provincia di Pavia e il 27 Ottobre 1962, a Bascapè ero tra coloro che raccolsero i corpi maciullati di Enrico Mattei, del giornalista e del pilota periti in quel tragico attentato.
In gennaio 1963, su reclamo della moglie del Pretore che mi accusò ingiustamente di averla “guardata”, per opportunità, venni trasferito in servizio provvisorio a Bereguardo e poi definitivo ad Abbiategrasso da dove, lo stesso anno, a domanda venni trasferito a Delia, provincia di Caltanissetta e successivamente, nel 1964 a Noto fino a settembre 1965, quando, vincitore del concorso, venni ammesso alla frequenza del 18° corso biennale di Moncalieri che frequentai dal 1965 al Giugno1966 e dal successivo settembre, a Firenze, nell’antico monastero di Santa Maria Novella, sede della scuola allievi sottufficiali, frequentai il 59° corso, sospeso per 2 mesi a causa della disastrosa alluvione del 4 novembre 1966. Quel tragico giorno rischiai l’annegamento nel chiostro allagato, e riuscii a salvarmi grazie ad una pedana.
Spalai fango e vigilai, insieme agli altri allievi, la città devastata e insigniti con attestato di benemerenza e medaglia fummo chiamati angeli del fango.
Superati con successo gli esami finali a Giugno 1967, promosso vice brigadiere, dopo la licenza di fine corso venni trasferito a Gioiosa Jonica, poi in servizio provvisorio a Canolo, San Nicola di Caulonia e definitivo ad Isola Capo Rizzuto, fino quando, nel 1968, a 28 anni, dopo 4 anni di fidanzamento, sposai Lucia Lo Verso con la quale andammo a vivere nella nostra casa in affitto nella sede definitiva di Vibo Valentia.
Il 7 Aprile1969, mia moglie si ammalò gravemente rischiando di morire e, per fortuna, dopo lunghe e costose cure, prima presso l’ospedale di Siracusa e poi in privato, lentamente si riprese raggiungendomi nella casa che avevamo affittato a Mussomeli dove nel frattempo ero stato trasferito per motivi di famiglia, e per lo stesso motivo ad Acicastello, dove risiedemmo 4 anni, e poi ancora a Pachino e finalmente a Noto dove abitammo per 6 anni fino a Settembre 1978, quando, con enormi sacrifici e rigorosi risparmi, grazie al prestito di una banca, acquistammo l’appartamento nel quale ancora oggi abito.
Progettammo la nostra nuova e definitiva casa, e da artigiano quale ero, realizzai gli infissi, e con le tecniche antiche che avevo imparato da ragazzo, spesso utilizzando materiali di risulta, richiamandomi ai famosi ebanisti del passato, restaurai mobili antichi autentici, ricostruii, tavolini barocchi, di foggia inglese e mobili alla maniera del Maggiolini in una collezione unica nel suo genere che resero la nostra casa il nido d’amore fino ad allora solo sognato.
Durante la permanenza ad Acicastello, avevo conosciuto il famoso pittore Jean Calogero e tale Giuseppe Greco, che mi regalò un quadro a firma Josep El Grecò che ancora posseggo e forse fu questo che mi incuriosì facendomi provare a dipingere o il quadro che comprai da tale Raffaele Aglieco, una "crosta", che in quel momento, beata ignoranza, mi piacque?
Presso il negozio Standa di Siracusa, ricordandomi di aver frequentato la scuola d’arte, comprai una dozzinale cassetta di colori contenente olio di lino e pennello più una tela con telaio 20/30, sulla quale, in casa di mia madre, allora in via Pasubio, dipinsi un vaso con pianta a foglia larga che era sul davanzale della finestra interna del cortile. Era una crosta ma in quel momento, orgoglioso, come solo i bambini sanno fare, mostrai l’opera a mia moglie e ai parenti e, tanto se ne innamorò mio cognato Sarino che gliela regalai.
Affascinato dalla pittura, forse in preda a disagio interiore, con tecniche sempre diverse, dipinsi il mio primo cane, Leo; mia moglie Lucia giovanetta; mio nipote Antonello e, scimmiottando Fattori, a colori vivaci, due carabinieri di spalle, in uniforme ridotta che percorrono una strada deserta, forse inconsciamente me stesso diretto verso un futuro sconosciuto e ancora una ragazza affacciata al balcone con lo sguardo verso l’orizzonte, e, dopo altri tentativi, capii che la pittura non era la via giusta e quindi buttai colori e pennelli realizzando il mio ultimo quadro.
Copiando lo scudetto del nucleo radiomobile, una gazzella che attraversa la fiamma d’argento, volli provare a scolpire utilizzando i miei scalpelli da falegname e in un antico pannello di noce, lavorando nell’androne a piano terra di via Montorsoli, dove a quel tempo abitavano i miei suoceri, poggiato sui primi gradini della scala in cemento che portava sul terrazzo, riuscii a creare la mia prima opera che donai al mio comando, dove ancora si trova sebbene colorata in seguito da qualcuno.
Nello stesso anno 1972, incoraggiato da quel primo risultato, acquistai alcune piccole subbie, in dialetto “sgorbie”, e in una tavola di legno noce, 30x40 cm., spessa 8 cm., senza averne contezza, realizzai la mia seconda opera con la quale esteriorizzai la scelta di dedicarmi agli altri rifiutando di rincorrere il benessere materiale.
Nel 1977, in un tronco di noce alto circa 70 cm. e 40 cm. di diametro immortalai il sogno di paternità mai realizzato con la figura di mia moglie che abbraccia un bambino e ancora, su una tavola di legno noce cm. 30x40, il carabiniere sul suo destriero al galoppo lanciato verso l’infinito con chiaro riferimento alla mia professione, che donai al capitano Luigi Cucinella in occasione del suo commiato dal comando della compagnia di Noto.
Nel 1982, avevo realizzato solo 7/8 sculture, mentre lavoravo nel mio laboratorio, si presentò Giovanni Alfano, pittore, il quale mi invitò a partecipare alla mostra collettiva che stava organizzando nel suo spazio espositivo e poiché mai, neanche lontanamente, avevo pensato al mondo dell’arte, timoroso mi schernii, accettando poi senza troppa convinzione.
Fu l’occasione per uscire dall’anonimato e partecipai ad altri eventi nel corso dei quali conobbi vari artisti locali che apprezzarono quelle mie prime sculture.
La scultura mi appassionò tanto che lavorando senza sosta, nel 1999, avevo realizzato le mie prime 60 opere, tra le quali, le 12 tavole della Via Lucis che donai alla chiesa di Bosco Minniti mia parrocchia.
Alcuni amici che frequentavano Il mio laboratorio mi invitarono a presentare le opere in una mostra personale e chiesi di sponsorizzarla all’assessore alla cultura della Provincia Raffaele Gentile, il quale, dopo qualche perplessità, accolse il progetto stanziando 15 milioni di lire, e all’inaugurazione, scusandosi, disse.
Da incompetente quale ero, chiesi aiuto a Paolo Giansiracusa, il quale, di buon grado, mi presentò al suo collega Luigi Amato, con il quale, unitamente ad Anna Panico, Letizia Giglia, Ermanno Annino, tanti amici, e i miei cognati in particolare, predisponemmo le sale espositive nel plesso dell’antico mercato di Ortigia, appena restaurato, e il mio primo catalogo.
Alessandro Musco, allora assessore per Ortigia, nel catalogo, mi definì gnomo di Ortigia, artigiano del sogno, ed Elfo dei boschi.
Nel presentare l’evento, all’inaugurazione, così si espresse Luigi Amato consacrandomi scultore siracusano.
Un nuovo inizio, una nuova alba incominciò e a quello strepitoso successo, seguirono momenti esaltanti e fecondi in un crescendo ricco di realizzazioni di sculture sempre più complesse e sfide con materiali, spesso ostici, quali marmo bianco, rosa del Portogallo, (materiali di risulta di lavorazioni edili), e calcite, (stalagmiti recuperate in discariche), nei quali ricercai, forse, l’equilibrio esistenziale.
Tra memoria, studio e ricerca, scoprii l’amore per la mia città e piansi reagendo con scritti e versi elaborati in vernacolo siracusano, scelto per conservare a futura memoria una lingua in via di estinzione, e nella scultura, forte dei miei convincimenti religiosi e principi etici acquisiti nei miei trascorsi militari, scavando i materiali a disposizione, denunciai e gridai il mio sconforto per il degrado politico, etico e sociale di una città ricca di storia millenaria che raccontai con i simboli dell’antica Pentapoli, e seguendo i disegni e le conoscenze tramandate da archeologi e studiosi, in uno stimolante percorso didattico di base, feci conoscere, con i monumenti archeologici realizzati in perfetta scala, con azzardate tecniche costruttive, e con materiali di risulta recuperati dai cassonetti della spazzatura, una gloriosa città massacrata e ridotta in un ammasso di cemento da speculatori senza scrupoli, con la complicità della classe dirigente.
In contemporanea, da autodidatta, rielaborai il mio sito personale, www.antoniorandazzo.it- memorie di Siracusa, nel quale raccolsi una delle più complete collezioni di immagini e documentazione storica archeologica esistente.
Nel corso degli anni partecipai a mostre personali e collettive, incontrai poeti e semplici cittadini disposti ad ascoltarmi, e presentai alla città le mie creazioni ricevendo premi e riconoscimenti: Marzo 2009, Emergenza internazionale, donazione opera per realizzare un ospedale pediatrico in Africa; Dicembre 2009, mostra personale, “Siracusa a Memoria”, nell’area espositiva di palazzo Impellizzeri; Giugno 2010, Castello Maniace, sala Centimulo, collettiva “Espressioni Mediterranee”; Dicembre 2010, istituto comprensivo Mazzini, “In alto con la Cultura, ”donazione opera; Gennaio 2011, Convento del Ritiro, collettiva, “I volti della città”, colori e tradizioni del Mediterraneo; Ottobre 2011, Galleria Roma, collettiva.
Fino a quando, il 7 Maggio 2014, il mio sogno si infranse con la prematura morte di moglie Lucia Lo Verso dopo 10 lunghi anni di viaggi della speranza e cure per una malattia del sangue.
Il dolore e la disperazione mi prostrarono e caddi e solo dopo qualche tempo, mi sembrò sentire la voce di mia moglie che mi incitava a rialzarmi dicendomi: abbiamo provato per 10 anni, adesso realizza i tuoi sogni.
Capii che dovevo reagire per continuare ad esserle fedele e reagii rialzandomi e con immutato impegno, fedele alla sua memoria ricominciai e con l’aiuto determinante dei miei nipoti, trasformammo il laboratorio in sala espositiva e circolo di incontri che chiamai Cenacolo della siracusanità che venne inaugurato il 20 Luglio 2014, lo stesso giorno e mese del mio matrimonio avvenuto nel 1968.
Nel dicembre 2014, le 5 opere dedicate a Siracusa furono esposte nel Museo Diocesano di Gubbio insieme alle opere pittoriche di Umberto Garro; a Gennaio 2016, nel salone dell’Istituto “Insolera”, l’associazione “Dueppiu”, mi conferì il V° premio Tiche; a Dicembre 2016, salone palazzo Vermexio, il Comune di Siracusa e il comitato attivisti mi conferì il premio Dino Cartia; ad Aprile 2017, nel Salone Gentile presso la Chiesa di Santa Lucia alla Badia, partecipai, donando una mia opera, alla collettiva “Artisti per l’adozione”; nel Giugno 2017, il Comando provinciale volle esporre alcune mie opere in una sala del castello Maniace, in occasione della festa dell’Arma dei Carabinieri; a Febbraio 2018, presso il Santuario Madonna delle Lacrime, mi conferirono il premio Orizzonti Siracusa, a Marzo 2018, Pantalica Ranch, il premio altra Italia e a Giugno 2018, nel salone dell’Hotel Panorama, il diploma di partecipazione dal centro studi Tommaso D’Aquino”.
Ad Ottobre 2016, in via Roma, palazzo del Governo, realizzai la mia ultima mostra personale nel corso della quale donai il catalogo completo di tutto e il libretto di poesie in vernacolo con traduzione in lingua italiana, la locandina in lingua siracusana, i luoghi della memoria e altra con tutte le fortificazioni spagnole di Ortigia.
A Luglio 2018, scrissi in vernacolo siracusano e feci stampare, il libretto, “cummedia saracusana”, i cunti ro nannu, nel quale raccontai episodi vissuti nella mia fanciullezza fino agli anni 60
Nello stesso anno, dalla professoressa Andrea Von Karnak, feci tradurre dall’originale in lingua tedesca e stampare a mie spese, il libro “topografia archeologica di Siracusa”, di Hans-Peter Drögemüller, edito nel 1969, nel quale, per completezza, aggiungemmo una cronologia aggiornata sulle realizzazioni e scoperte successive e che fu presentato il 19 Ottobre, presso l’auditorium del museo Paolo Orsi, da Sebastiano Amato, Lorenzo Guzzardi, dal compianto Calogero Rizzuto, direttore del parco archeologico di Siracusa e da Fabio Granata, assessore alla cultura del Comune di Siracusa, che così si espresse.
Nel 2019 feci stampare il libretto dal titolo Laicamente Cristiano e nel 2020 la mappa turistica di Siracusa completa di tutto ciò che la mia città è, dalle origini ai nostri giorni, che venne presentata presso l’audirorium del museo Paolo Orsi.
Per conoscermi debbo credere a ciò che nel tempo hanno detto di me, Calogero Rizzuto, Fabio Granata, Michele Romano, Lorenzo Guzzardi, Sebastiano Amato, Luigi Amato, Raffaele Gentile e tanti altri?
La mia unica certezza è la storia documentata e ribadita al Paolo Orsi durante la presentazione della mappa.
Nonostante le tante traversie mi piace credere di essere fortunato e pensare che da sempre Lassù più di qualcuno mi ama.
Ho amato ed amo la vita mio signore, non temo il tramonto spero nell’aurora mattutina inizio di una nuova era.
Ottantunenne, fra qualche giorno, cerco ancora di scoprire chi sono e, guardando al futuro, continuo a sognare fin quando il Creatore non mi chiamerà ad altro incarico.