donne della mia vita
Non ebbi la fortuna di conoscere i nonni paterni, deceduti prima che nascessi, e nemmeno il nonno materno. Nato io nel 1940, in via Gargallo n. 28, sin da piccolo ebbi la fortuna di vivere ed essere allevato amorevolmente da mia madre, Midolo Concetta, sarta camiciaia, e da mia nonna, "ranna Maricchia", al secolo Moscuzza Maria una delle più brave sarte siracusane del tempo, mia nonna, abitante in Via Gargallo n. 24 (sutta San Gatanu". Nella foto, a sinistra mia Madre Midolo Concetta, a destra sua sorella Filomena di anni 6 circa. Una donna vera e d'altri tempi mia nonna. Classe 1881, rimasta vedova a 24 anni nel 1905 per la morte di mio nonno deceduto a Buenos Aires, incinta di mia madre, allevò le due figlie specchio di onestà come Lei fu.(nonno: Midolo Concetto di Carmelo e di Monterosso Filomena (marinaio imbarcato su nave in navigazione rotta Argentina), ricoverato presso l’ospedale italiano di Buenos Aires il 14 Febbraio 1905 è deceduto il 18 Febbraio 1905 per meningite. Lui moriva a Febbraio e mia madre nasceva in Agosto. Erano altri tempi quando la fedeltà era anche dopo la morte.
Sin da subito, dopo i giorni del lutto, secondo ciò che raccontava mia madre, mia nonna, una donna bellissima, conosciuta per morigeratezza e onestà, ebbe numerose richieste di matrimonio che non accettò e visse tutta la vita lavorando da sarta di biancheria e allevando e mantenendo le figlie decorosamente accompagnandole fino al dignitoso matrimonio e oltre.
Il basso di via Gargallo, civico n.24, confinava a destra con l'edicola di San Gaetano, non più esistente, e l'antico palazzo Gargallo. Era uno stanzone grandissimo, tramezzato per dividere la zona anteriore, utilizzata come laboratorio-sartoria nella quale, oltre a mia nonna, vi lavorava mia madre e quasi sempre ragazze, apprendiste, che imparavano il mestiere. Lina Pocchi, abitante all'interno di ronco Bentivegna, "u cuttigghiu criveddu", era la più attiva che poi continuò autonomamente. Da bambino ero ogni giorno li a gocare ma anche a dormire per fare compagnia alla notte a mia nonna che viveva da sola. Speso mangiavo con lei suscitando l'invidia di mia madre per e squisite pietanze della nonna che io vantavo con i miei per il gusto saporito anche di cose sempici, come per esempio, "i patati co stratticeddu", una leccornia che alle mie affermazioni, mia madre diceva: cettu a nanna è sula e pecciò, squagghiannu tanticchia i strattu cu l'ogghiu r'aliva tuttu iè chiu sapurusu".
Le donne di un tempo sognavano amore, se volete il principe azzurro, ma aspiravano ad essere donne, non femmine come oggi, madri, non donne in carriera, anche se tante, con forza, abnegazione e genialità, studiose e grandi donne emancipate nel senso di indipendenza propria, senza l'aiuto di pseudo associazioni, emergevano surclassando anche il sesso maschile. La società siciliana e le famiglie, solo apparentemente erano patriarcali mentre in pratica tutto era gestito dalla donna che oltre ad essere madre, educatrice dei figli, regina della casa, amministrava, almeno nelle famiglie normali e con sostanze limitate, il bilancio familiare con oculatezza e parsimonia anche a costo di sacrifici. In altre situazioni certo era donna oggetto, spesso schiava degli uomini che approfittavano della presunta debolezza, ma le vere donne sono sempre esistite al pari dei veri uomini, il resto è letteratura, racconti, modi di dire e, dal dopo guerra anni 60 in poi, imbrogli e menzogne, lavaggio del cervello, sopraffazione mediatica allo scopo di sfasciare le famiglie e creare mercati differenziati manipolando l'opinione pubblica. Non è una opinione ma storia del sociale vissuto. Anche sui modi di dire si è speculato, per esempio: "nuttata pessa e figghia fimmina", perchè non si considera che allora il figlio maschio crescendo lavorava producendo reddito e poi raggiungeva l'indipendenza creandosi a sua volta una famiglia mentre per la donna era diverso perchè allora non considerata "lavoratrice", non aveva o creava reddito proprio pesando sulla famiglia di origine e quindi l'unica aspettativa era il matrimonio, anch'esso un peso essendo tradizione che Lei doveva avere " a rota", minimo biancheria a 6 o 12, se possibile casa e altro. Per la storia l'arredo completo del letto matrimoniale spettava a Lei, così come per la cucina mentre al marito spettava solo coperte e lenzuola da lettino e naturalmente il suo lavoro con il quale manteneva al meglio moglie e futuri nascituri. Sono andato ad orecchio, anche perchè, alcuni miei parenti, quando mi innamorai della donna che poi diventò mia moglie, nonostante il parere contrario di questi ultimi, che pretendevano che Lei portasse come dote la casa che non possedeva. Ma questa è un'altra storia.
Il pudore, la riservatezza e la morigeratezza erano valori indiscussi e, se volete saperlo, anche per gli uomini erano cose da intuire e scoprire nelle donne. La donna, donna e non femmina.
Alla fine del 1963, inizio 1964, dopo tre anni di "esilio" al nord Italia, finalmente tornai in Sicilia destinato a Delia, in provincia di Caltanissetta.
Nel mese di Febbraio 1964, con la mia vespa 150 tornai a Siracusa in permesso per alcuni giorni. Mia madre, nel frattempo si era trasferita in via Pasubio 87 e li soggiornai.
Un giorno andai a cercare Carmelo Mazzone, anche lui in licenza e insieme andammo a trovare Orazio Aglieco, sposatosi da poco, abitante in via delle Sirene, in un casa di affitto formata da un basso all’ingresso ed una stanza al piano superiore.
Ci abbracciammo per la gioia ed io parlavo a voce alta redarguito da Orazio che mi indicava che sopra con la moglie c’era, “a signurina”.
Salimmo sopra quasi in silenzio, salutammo senza guardare le due donne, la moglie di Orazio e la, “signorina”, sostammo qualche minuto e poi, tornati nel basso, ci accomiatammo da Orazio e con Carmelo ci avviammo verso le nostre rispettive abitazioni a bordo della mia vespa. All’uscita della casa di Orazio, Carmelo ebbe a dirmi: ‘ntoniu, a vistu chi bedda figghia, picchì nun ti ci fai zitu! Ed io risposi, ma vattinni va! Cu iè chissa?
Lo stesso pomeriggio rientrai a Delia con la mia vespa e ripresi il mio normale servizio e la vita da giovane carabiniere.
Nel successivo mese di giugno di quell’anno 1964, tornai a Siracusa in licenza per 10 giorni.
Ogni mattino, ma anche il pomeriggio e la sera, abitualmente, da via Pasubio scendevo in Ortigia, come allora incominciavamo a chiamarla.
In piazza delle poste, in quella sera d’estate, come era uso in quei tempi, c’era il cinema all’aperto, frequentatissimo, specialmente la Domenica.
Il corso Matteotti, in quella sera domenicale, come al solito, era pieno di persone che passeggiavano allegramente ed io tra loro, ma solo con i miei pensieri, percorrevo la via verso piazza Archimede sostando per qualche minuto a guardare verso il bar Viola e le persone che salivano da piazza Pancali, molte uscite dal cinema all’aperto.
Fui attratto da una ragazza, fazzoletto in testa che, altera, insieme alla madre, camminava al centro della via verso piazza Archimede.
Mi fermai a guardare, attratto e quando mi passarono davanti seguii con lo sguardo il loro incedere.
Non conoscevo chi fossero e non avevo visto bene i particolari, ma le fattezze e quel modo di camminare della ragazza, direi maestoso, principesco, che sembrava volare sulla via come se non toccasse per terra e apparentemente senza guardarsi intorno.
Solo Lei sembrava esserci in quel momento in quella affollata strada.
Fu il così detto colo di fulmine per me che non avevo conosciuto l’amore salvo saltuari e occasionali e innocenti incontri con altre ragazze.
Da quel momento una irrequietezza indescrivibile mi prese e mi assillò per tutti i giorni a venire tanto che ogni momento ero in Ortigia a cercare di sapere chi era quella giovane.
Fu allora che capii, non so come, che quella era la ragazza ospite in casa di Orazio, come noi quel giorno che insieme a Carmelo eravamo andati a trovarlo e che Carmelo suggerì un mio possibile fidanzamento.
Si quella che non avevo visto nemmeno in faccia non tenendo conto del suggerimento di Carmelo.
Com’è strana la vita!
Destino o casualità?