Nova Margherita tragedia
Siracusa in lutto di Italo Formosa
tratto da " ISIRACUSANI" ANNO III N.12 MARZO-APRILE 1998
Un boato che sconvolse la città. Una esplosione che gettò nel lutto e nel pianto tante famiglie di pescatori siracusani.
Si verificò intorno alle 16 del 12 marzo del '52, nella piccola rada di Massoliveri, a ridosso della costa sud di Siracusa, tra l'imboccatura del Porto Grande e Capo Murro di Porco, là dove, qualche anno dopo, sarebbe sorto il villaggio turistico "Il Minareto".
Era accaduto che l'equipaggio del peschereccio "Nova Margherita" aveva recuperato nei fondali del porto, un siluro inesploso, triste residuato degli attacchi bellici della seconda guerra mondiale, terminata, almeno in Sicilia, nel mese di luglio del '43, con lo sbarco degli alleati nella zona di Fontane Bianche. Negli anni precedenti la zona di mare e la stessa città di Siracusa erano state teatro di attacchi e bombardamenti aerei, che avevano stremato la popolazione. Molto lentamente Siracusa tornava alla normalità e, ancora dopo nove anni, ai numerosi pescatori della città era vietato spingersi al largo per calare le reti, per espresso divieto della Capitaneria di Porto, se prima non fosse stato bonificato dagli ordigni inesplosi tutto il tratto di mare antistante la costiera aretusea. A questo fine era stato appaltato il lavoro di recupero di residuati bellici alla impresa Amelio- Castaldi di Napoli. L'imprenditore aveva reclutato mezzi nautici e personale della marineria siracusana, che così, anche a rischio di eventuali incidenti, spesso mortali, si sobbarcava a questo rischiosissimo lavoro per sfamare le proprie famiglie. Nel Porto Grande un'altra impresa lavorava allo smantellamento e al recupero del materiale ferroso della nave ospedale "California", affondata da aerei siluranti nemici. Uno di questi siluri rimase inesploso nei fondali fangosi del porto e venne recuperato dal "Nova Margherita" quel disgraziato pomeriggio del 12 marzo '52.
L'ordine impartito agli equipaggi dei tanti pescherecci adibiti al recupero, era che se avessero recuperato siluri e ordigni di elevata potenzialità, avrebbero dovuto portarsi al largo e abbandonare l'ordigno di morte in acque quanto più profonde, tagliando se necessario le reti. Ma le reti, a quel tempo fatte di canapa, erano un prezioso strumento di lavoro e rifarle significava fermarsi per giorni e giorni con grave perdita economica.
Proprio le reti del "Nova Margherita" costituivano un patrimonio inestimabile: esse erano state tessute dalle mani esperte delle mogli e delle madri dei componenti l'equipaggio. Costituivano quindi anche un bene affettivo, oltre che economico. Furono sicuramente queste considerazioni a consigliare, tragico segno del destino, di trasportare il siluro sino alla insenatura sabbiosa di Massoliveri, dove un artificiere dell'impresa Castaldi avrebbe dovuto provvedere al disinnesco. Un'altro particolare importante era dato dalla ordinanza della Capitaneria di Porto di tenere a bordo di ogni imbarcazione un artificiere che, quanto meno doveva valutare se effettuare il disinnesco direttamente sul luogo del ritrovamento, oppure far rispettare la disposizione di abbandonare al largo reti e ordigno.
L'impresa, invece, a quanto si disse nell'immediatezza del tragico evento, per risparmiare sui costi, teneva a terra soltanto uno o due artificieri specializzati.
In quel triste pomeriggio di marzo, un cielo plumbeo e piovoso fu testimone di un evento che ancora oggi viene ricordato per i segni luttuosi che lasciò in tante famiglie di onesti lavoratori del mare e che scosse l'opinione pubblica di tutta l'Italia, ancora impegnata nella ricostruzione di intere città e nella ripresa economica.
Vogliamo ripercorrere nei particolari quelle tristi giornate di lutto, attraverso la cronaca realistica di una grande figura del giornalismo siracusano, Aldo Carratore che sul quotidiano La Sicilia raccontò quei drammatici eventi.
Salito a 9 il numero delle vittime
È morto ieri all'ospedale di Siracusa uno dei marinai feriti dall'esplosione Oggi alle ore 16 solenni esequie a spese del Comune
— SERVIZIO SPECIALE DI ALDO CARRATORE —
SIRACUSA, 13 MARZO
Alle otto vittime del disastro della "Nova Margherita" se ne è aggiunta ancora un'altra alle prime luci dell'alba: Francesco Mincella, che era stato ricoverato all'ospedale in condizioni disperate non appena avvenuto lo scoppio nella rada di Massoliveri. Raccolto esanime in mezzo al mare col corpo martoriato e il viso trasfigurato dalle ferite, il pescatore è stato sottoposto alle più sollecite e amorevoli cure da parte dei sanitari nel tentativo di strapparlo alla morte. Tutto è stato, però, inutile. All'alba egli è spirato nel suo lettuccio tra atroci spasmi e aveva accanto un uomo inebetito, curvo nelle spalle, e dagli occhi vitrei, che stringeva fra le sue mani rudi e ardenti la mano esangue del figlio. Per avere la forza di sopravvivere, forse, il vecchio Luigi Mincella non si è reso esattamente conto della immensità della sua sventura. Giù, nell'obitorio, in un mucchio sanguinolento, le carni straziate dell'altro figlio, Angelo Mincella. Su un altro marmo i resti non meno devastati di un nipote, e fra le mani quella già fredda dell'ultima creatura. Alba tragica per nove famiglie di poveri pescatori, gettate nel lutto e nel più profondo sgomento. Sopravvive ancora Sebastiano Veneziano, l'unico superstite del "Nova Margherita", che lotta disperatamente fra la vita e la morte. La sua bocca è ancora serrata; nessuno ha potuto strappargli un particolare del terribile dramma che travolse in un momento nove uomini.
Per tutta la giornata, nel popolare quartiere della "Graziella", alcune donne hanno pianto, strappandosi i capelli davanti ai loro ritratti. Li avevano posti sulla tavola, tra fiori e candele accese... come se in ciascuna di quelle stanze anguste e povere l'angoscia dei familiari e la pietà degli amici avessero composto un catafalco con i miseri resti dei quegli uomini.
Le affannose ricerche sul luogo della sciagura, riprese all'alba, hanno portato al rinvenimento di un altro cadavere incastrato in una larga fenditura della scogliera, a una certa altezza del livello del mare. Era il corpo del comandante Francesco Bandiera, portato evidentemente così lontano dalla violentissima esplosione del siluro. All'anulare della sua mano sinistra la fede nuziale, contorta e spezzata, si era quasi conficcata nella carne.
Al largo della piccola rada di Massoliveri, solitario e tragico in mezzo al mare, l'albero maestro del "Nova Margherita", quasi a indicare il punto esatto in cui nel piovoso crepuscolo di ieri avvenne la terribile sciagura. Sulla spiaggia, galleggianti sul mare, lungo la scogliera, nei punti più impensati della zona, relitti e fasciami del motopeschereccio. Nulla invece dei resti umani degli altri componenti dell'equipaggio: Vincenzo Cardarella, Alfonso Cappuccio e Salvatore Lentinello, ultimo disperso, del quale soltanto oggi si è saputo il nome. Il mare è stato scandagliato palmo a palmo e palombari si sono calati per esaminare il fondo, per cercare fra gli scogli sommersi i corpi dei tre disgraziati pescatori, ma il mare non ha voluto ancora rendere le sue prede.
L'esplosione ha fatto crollare un larghissimo tratto della scogliera di Massoliveri, sicché la zona dà letteralmente l'impressione che sia stata devastata da un terremoto. Immensi blocchi che erano a strapiombo sul mare, probabilmente lesionati dal tempo e corrosi dalla salsedine, sono precipitati sulla spiaggia a poche decine di metri dal deposito in cui viene raccolto il materiale bellico rastrellato dai motopescherecci autorizzati al rischiosissimo lavoro di recupero.
Si verificò intorno alle 16 del 12 marzo del '52, nella piccola rada di Massoliveri, a ridosso della costa sud di Siracusa, tra l'imboccatura del Porto Grande e Capo Murro di Porco, là dove, qualche anno dopo, sarebbe sorto il villaggio turistico "Il Minareto".
Era accaduto che l'equipaggio del peschereccio "Nova Margherita" aveva recuperato nei fondali del porto, un siluro inesploso, triste residuato degli attacchi bellici della seconda guerra mondiale, terminata, almeno in Sicilia, nel mese di luglio del '43, con lo sbarco degli alleati nella zona di Fontane Bianche. Negli anni precedenti la zona di mare e la stessa città di Siracusa erano state teatro di attacchi e bombardamenti aerei, che avevano stremato la popolazione. Molto lentamente Siracusa tornava alla normalità e, ancora dopo nove anni, ai numerosi pescatori della città era vietato spingersi al largo per calare le reti, per espresso divieto della Capitaneria di Porto, se prima non fosse stato bonificato dagli ordigni inesplosi tutto il tratto di mare antistante la costiera aretusea. A questo fine era stato appaltato il lavoro di recupero di residuati bellici alla impresa Amelio- Castaldi di Napoli. L'imprenditore aveva reclutato mezzi nautici e personale della marineria siracusana, che così, anche a rischio di eventuali incidenti, spesso mortali, si sobbarcava a questo rischiosissimo lavoro per sfamare le proprie famiglie. Nel Porto Grande un'altra impresa lavorava allo smantellamento e al recupero del materiale ferroso della nave ospedale "California", affondata da aerei siluranti nemici. Uno di questi siluri rimase inesploso nei fondali fangosi del porto e venne recuperato dal "Nova Margherita" quel disgraziato pomeriggio del 12 marzo '52.
L'ordine impartito agli equipaggi dei tanti pescherecci adibiti al recupero, era che se avessero recuperato siluri e ordigni di elevata potenzialità, avrebbero dovuto portarsi al largo e abbandonare l'ordigno di morte in acque quanto più profonde, tagliando se necessario le reti. Ma le reti, a quel tempo fatte di canapa, erano un prezioso strumento di lavoro e rifarle significava fermarsi per giorni e giorni con grave perdita economica.
Proprio le reti del "Nova Margherita" costituivano un patrimonio inestimabile: esse erano state tessute dalle mani esperte delle mogli e delle madri dei componenti l'equipaggio. Costituivano quindi anche un bene affettivo, oltre che economico. Furono sicuramente queste considerazioni a consigliare, tragico segno del destino, di trasportare il siluro sino alla insenatura sabbiosa di Massoliveri, dove un artificiere dell'impresa Castaldi avrebbe dovuto provvedere al disinnesco. Un'altro particolare importante era dato dalla ordinanza della Capitaneria di Porto di tenere a bordo di ogni imbarcazione un artificiere che, quanto meno doveva valutare se effettuare il disinnesco direttamente sul luogo del ritrovamento, oppure far rispettare la disposizione di abbandonare al largo reti e ordigno.
L'impresa, invece, a quanto si disse nell'immediatezza del tragico evento, per risparmiare sui costi, teneva a terra soltanto uno o due artificieri specializzati.
In quel triste pomeriggio di marzo, un cielo plumbeo e piovoso fu testimone di un evento che ancora oggi viene ricordato per i segni luttuosi che lasciò in tante famiglie di onesti lavoratori del mare e che scosse l'opinione pubblica di tutta l'Italia, ancora impegnata nella ricostruzione di intere città e nella ripresa economica.
Vogliamo ripercorrere nei particolari quelle tristi giornate di lutto, attraverso la cronaca realistica di una grande figura del giornalismo siracusano, Aldo Carratore che sul quotidiano La Sicilia raccontò quei drammatici eventi.
Salito a 9 il numero delle vittime
È morto ieri all'ospedale di Siracusa uno dei marinai feriti dall'esplosione Oggi alle ore 16 solenni esequie a spese del Comune
— SERVIZIO SPECIALE DI ALDO CARRATORE —
SIRACUSA, 13 MARZO
Alle otto vittime del disastro della "Nova Margherita" se ne è aggiunta ancora un'altra alle prime luci dell'alba: Francesco Mincella, che era stato ricoverato all'ospedale in condizioni disperate non appena avvenuto lo scoppio nella rada di Massoliveri. Raccolto esanime in mezzo al mare col corpo martoriato e il viso trasfigurato dalle ferite, il pescatore è stato sottoposto alle più sollecite e amorevoli cure da parte dei sanitari nel tentativo di strapparlo alla morte. Tutto è stato, però, inutile. All'alba egli è spirato nel suo lettuccio tra atroci spasmi e aveva accanto un uomo inebetito, curvo nelle spalle, e dagli occhi vitrei, che stringeva fra le sue mani rudi e ardenti la mano esangue del figlio. Per avere la forza di sopravvivere, forse, il vecchio Luigi Mincella non si è reso esattamente conto della immensità della sua sventura. Giù, nell'obitorio, in un mucchio sanguinolento, le carni straziate dell'altro figlio, Angelo Mincella. Su un altro marmo i resti non meno devastati di un nipote, e fra le mani quella già fredda dell'ultima creatura. Alba tragica per nove famiglie di poveri pescatori, gettate nel lutto e nel più profondo sgomento. Sopravvive ancora Sebastiano Veneziano, l'unico superstite del "Nova Margherita", che lotta disperatamente fra la vita e la morte. La sua bocca è ancora serrata; nessuno ha potuto strappargli un particolare del terribile dramma che travolse in un momento nove uomini.
Per tutta la giornata, nel popolare quartiere della "Graziella", alcune donne hanno pianto, strappandosi i capelli davanti ai loro ritratti. Li avevano posti sulla tavola, tra fiori e candele accese... come se in ciascuna di quelle stanze anguste e povere l'angoscia dei familiari e la pietà degli amici avessero composto un catafalco con i miseri resti dei quegli uomini.
Le affannose ricerche sul luogo della sciagura, riprese all'alba, hanno portato al rinvenimento di un altro cadavere incastrato in una larga fenditura della scogliera, a una certa altezza del livello del mare. Era il corpo del comandante Francesco Bandiera, portato evidentemente così lontano dalla violentissima esplosione del siluro. All'anulare della sua mano sinistra la fede nuziale, contorta e spezzata, si era quasi conficcata nella carne.
Al largo della piccola rada di Massoliveri, solitario e tragico in mezzo al mare, l'albero maestro del "Nova Margherita", quasi a indicare il punto esatto in cui nel piovoso crepuscolo di ieri avvenne la terribile sciagura. Sulla spiaggia, galleggianti sul mare, lungo la scogliera, nei punti più impensati della zona, relitti e fasciami del motopeschereccio. Nulla invece dei resti umani degli altri componenti dell'equipaggio: Vincenzo Cardarella, Alfonso Cappuccio e Salvatore Lentinello, ultimo disperso, del quale soltanto oggi si è saputo il nome. Il mare è stato scandagliato palmo a palmo e palombari si sono calati per esaminare il fondo, per cercare fra gli scogli sommersi i corpi dei tre disgraziati pescatori, ma il mare non ha voluto ancora rendere le sue prede.
L'esplosione ha fatto crollare un larghissimo tratto della scogliera di Massoliveri, sicché la zona dà letteralmente l'impressione che sia stata devastata da un terremoto. Immensi blocchi che erano a strapiombo sul mare, probabilmente lesionati dal tempo e corrosi dalla salsedine, sono precipitati sulla spiaggia a poche decine di metri dal deposito in cui viene raccolto il materiale bellico rastrellato dai motopescherecci autorizzati al rischiosissimo lavoro di recupero.
Francesco Bandiera
In città perdura vivissima la costernazione per la sciagura che si è abbattuta su tante famiglie di laboriosi pescatori. Dietro il portone dell'ospedale, in tutte le ore del giorno, staziona una innumerevole folla costituita da parenti, amici delle vittime, cittadini dolorosamente partecipi al lutto, ansiosi si sapere notizie.
Il sindaco Greco, interpretando i sentimenti dell'intera cittadinanza, ha pubblicato il seguente manifesto: "Vittime di un avverso destino, alcuni lavoratori sono periti tragicamente, lasciando nel lutto i loro cari e nella costernazione la cittadinanza tutta. Mentre ci apprestiamo a rendere l'estremo doveroso omaggio alle vittime, accompagnandone le martoriate salme all'estrema dimora, offriamo alle famiglie colpite dalla sciagura la nostra viva solidarietà, osservando una giornata di lutto cittadino in tutti gli esercizi e locali pubblici. I funerali, a cura del Comune, avranno luogo domani, venerdì, alle ore 16, partendo dall'Ospedale Civile". Siracusa è, dunque, in lutto, e partecipa con cuore commosso alla immane sciagura. Domani fonderà le sue lagrime con quelle di tante madri, di spose e di parenti, dietro le bare che racchiuderanno i resti di uomini umili e laboriosi, stroncati da un destino avverso su quello stesso mare che li aveva visti forti e tenaci, cosi nella fatica come nella lotta. Saranno nove, queste bare, confortate dal pianto, oppure il mare vorrà essere tanto ingrato da spegnere l'ultimo residuo di speranza di altra povera gente che non ha più lacrime da versare?
La tragedia del "Nova Margherita" Un cadavere intatto restituito dal mare: è quello di Corrado Caldarella
dal nostro corrispondente
SIRACUSA, 15 marzo
Un destino veramente tragico e beffardo, quello di Corrado Caldarella: ha tenuto in fondo al mare, ancora per una notte, i suoi artigli inesorabili sui resti di questo disgraziato giovane, negando così ai parenti l'estremo conforto di vedere sfilare la salma insieme a quella degli altri compagni di lavoro. Soltanto una notte. Altre interminabili ore di angosciosa ansia per la desolata famiglia e, soprattutto, per il vecchio padre che, alle prime luci dell'alba, è tornato su quello specchio di mare dove avvenne la sciagura per cercare ancora il figlio, con gli occhi aridi, scrutando il fondo e le anfrattuosità della scogliera.
Il rinvenimento è stato fatto da un palombaro della Marina militare, che ha esplorato infaticabilmente da diversi giorni quel tratto di mare alla ricerca dei resti dei tre marinai scomparsi. Il corpo del Caldarella, perfettamente intatto, si è trovato vicino al motore del "Nova Margherita" che era stato proiettato dall'esplosione a notevole distanza dal punto in cui avvenne il disastro. La salma è stata direttamente trasportata all'obitorio del cimitero, dopo essere stata riconosciuta dai parenti con scene di straziante dolore; Continuano intanto le ricerche per recuperare i resti degli altri due pescatori del "Nova Margherita".
Le condizioni dell'unico superstite dell'equipaggio, il trentenne Sebastiano Veneziano, sono lievemente migliorate, sicché si comincia a nutrire la speranza che egli possa sopravvivere alla tremenda sciagura che ha troncato la vita dei suoi compagni. Poche e confuse notizie sul disastro egli è stato in grado di dare, fino a questo momento, essendo ancora in grave stato di choc, e avendo subito la perdita di un occhio, oltre ad accusare la frattura della mandibola e del piede.
Aldo Carratore
Sebastiano Veneziano (deceduto nel 1980), l'unico sopravvissuto all'esplosione.
Una tragedia, quella del "Nova Margherita", che abbiamo cercato di ricostruire anche attraverso le testimonianze delle vedove, dei figli, di coloro che vissero sulla loro pelle le conseguenze dell'esplosione, e che poterono affrontare le difficoltà economiche, al limite della sopravvivenza, per la generosità dei siracusani e per il senso di solidarietà che riscontrarono nelle istituzioni di allora, molto più attente di quelle di oggi, nel cercare di assicurare un avvenire anche modesto ai sopravvissuti.
Attraverso il Ministero della Marina Mercantile, fu possibile erogare la pensione alle vedove, come vittime civili di eventi bellici. I figli successivamente vennero assistiti dall'Unte nazionale assistenza orfani lavoratori italiani (ENAOLI).
I lavoratori del mare, in quel dopoguerra, erano forse l'unica categoria senza alcuna assistenza previdenziale ed infortunistica. Erano quasi tutti autonomi, come oggi potrebbero definirsi, ed il magro guadagno, che riuscivano a portare a casa, a stento era sufficiente a sbarcare il lunario, con molta dignità e sacrifici.
Nel corso degli anni successivi i familiari delle vittime dovettero aggiungere al danno la beffa. Si verificò infatti che la causa di risarcimento intentata nei confronti della impresa Castaldi, arrivò fino in Cassazione, ma il verdetto di condanna fu reso vano dal fallimento che la stessa impresa dichiarò, poco prima che l'Alta Corte si esprimesse nel merito. I parenti delle vittime dovettero, comunque, sostenere le spese legali dei tre lunghi gradi di giudizio... Rimase il coraggio delle madri siracusane che nel ricordo dei congiunti, così tragicamente strappati ai loro affetti, riuscirono a crescere i figli, oggi onesti lavoratori e stimati professionisti.
La partecipazione commossa dei siracusani ai funerali delle vittime. Almeno 40 mila persone fecero ala al passaggio del corteo, preceduto dalla corona del Comune, la prima delle 51 offerte dai vari enti pubblici e privati.
Questo l'elenco completo delle vittime: Sebastiano Bordato Francesco Bandiera Egidio Cappuccio Angelo Cappuccio Francesco Mincella Angelo Mincella Angelo Romeo Salvatore Lentinello Corrado Caldarella
Attraverso il Ministero della Marina Mercantile, fu possibile erogare la pensione alle vedove, come vittime civili di eventi bellici. I figli successivamente vennero assistiti dall'Unte nazionale assistenza orfani lavoratori italiani (ENAOLI).
I lavoratori del mare, in quel dopoguerra, erano forse l'unica categoria senza alcuna assistenza previdenziale ed infortunistica. Erano quasi tutti autonomi, come oggi potrebbero definirsi, ed il magro guadagno, che riuscivano a portare a casa, a stento era sufficiente a sbarcare il lunario, con molta dignità e sacrifici.
Nel corso degli anni successivi i familiari delle vittime dovettero aggiungere al danno la beffa. Si verificò infatti che la causa di risarcimento intentata nei confronti della impresa Castaldi, arrivò fino in Cassazione, ma il verdetto di condanna fu reso vano dal fallimento che la stessa impresa dichiarò, poco prima che l'Alta Corte si esprimesse nel merito. I parenti delle vittime dovettero, comunque, sostenere le spese legali dei tre lunghi gradi di giudizio... Rimase il coraggio delle madri siracusane che nel ricordo dei congiunti, così tragicamente strappati ai loro affetti, riuscirono a crescere i figli, oggi onesti lavoratori e stimati professionisti.
La partecipazione commossa dei siracusani ai funerali delle vittime. Almeno 40 mila persone fecero ala al passaggio del corteo, preceduto dalla corona del Comune, la prima delle 51 offerte dai vari enti pubblici e privati.
Questo l'elenco completo delle vittime: Sebastiano Bordato Francesco Bandiera Egidio Cappuccio Angelo Cappuccio Francesco Mincella Angelo Mincella Angelo Romeo Salvatore Lentinello Corrado Caldarella
Nella foto la bara di Francesco Bandiera
SESSANTADUE ANNI FA UNA TRAGEDIA SIRACUSANA
testo e foto Armando Carrubba
Relitto NOVA MARGHERITA FOTO Giovanni Raciti
Il 12 marzo 1952 avevo otto anni, anche se mancavano due giorni per il mio compleanno; e giocavo con una palla di pezza sul terrazzo dell’ex Stazione Sanitaria Marittima, al molo S. Antonio; mia madre stava stendendo la biancheria.
Il 12 marzo 1952 avevo otto anni, anche se mancavano due giorni per il mio compleanno; e giocavo con una palla di pezza sul terrazzo dell’ex Stazione Sanitaria Marittima, al molo S. Antonio; mia madre stava stendendo la biancheria.
Erano le 16 e qualcosa e sgambettavo felice quando uno spostamento d’aria mi sbattè letteralmente contro il muro. Mia madre mi venne incontro e m’abbracciò, tutta la mia famiglia si trovò sul terrazzo a guardare il mare e vedemmo partire la pilotina e diversi pescherecci verso l’imboccatura del porto, e si vedeva la marina riempirsi di
persone e il 1979 – numero telefonico della Stazione Sanitaria Marittima – squillò e da lì a poco mio padre (capo guardia sanitaria marittima) andò via con una macchina ch’era venuto a prenderlo.
Successe che l’equipaggio del peschereccio “Nova Margherita” aveva recuperato nei fondali del porto un siluro inesploso, residuato bellico della seconda guerra mondiale.
L’impresa di Napoli Aniello Castaldi vincitrice dell’appalto per il recupero dei residuati bellici nel nostro mare, aveva reclutato mezzi nautici e personale della marineria siracusana, che con notevole rischio effettuava questo lavoro.
Uno di questi siluri rimase inesploso nei fondali fangosi del porto e venne recuperato dal Nova Margherita quel disgraziato pomeriggio del 12 marzo 1952.
L’ordine dato agli equipaggi era, nel caso avessero preso siluri o ordigni di elevata potenzialità, d’abbandonarli lontano in acque profonde, anche, se necessario tagliando le reti.
L’esplosione fu potente e fece crollare un larghissimo tratto della scogliera di Massoliveri; le vittime di questa tragedia: Sebastiano Bordato, Francesco Bandiera, Egidio Cappuccio, Angelo Cappuccio, Francesco Mincella, Angelo Mincella, Angelo Romeo, Salvatore Lentinello, Corrado Caldarella. Unico sopravvissuto Sebastiano Veneziano (scomparso nel 1980).
Ricordo che i loro nomi e le loro foto erano sul quotidiano LA SICILIA che all’epoca costava £ 25 e l’uomo che con la sua bicicletta girava la città vendendo giornali quei giorni fece gli straordinari.
Questo post a ricordo di questi sfortunati marinai; anche le loro famiglie al danno s’aggiunse la beffa. Riportano le cronache che fu intentata una causa per il risarcimento nei confronti dell’impresa Castaldi, ma il verdetto di condanna fu reso vano per il fallimento della stessa impresa.
persone e il 1979 – numero telefonico della Stazione Sanitaria Marittima – squillò e da lì a poco mio padre (capo guardia sanitaria marittima) andò via con una macchina ch’era venuto a prenderlo.
Successe che l’equipaggio del peschereccio “Nova Margherita” aveva recuperato nei fondali del porto un siluro inesploso, residuato bellico della seconda guerra mondiale.
L’impresa di Napoli Aniello Castaldi vincitrice dell’appalto per il recupero dei residuati bellici nel nostro mare, aveva reclutato mezzi nautici e personale della marineria siracusana, che con notevole rischio effettuava questo lavoro.
Uno di questi siluri rimase inesploso nei fondali fangosi del porto e venne recuperato dal Nova Margherita quel disgraziato pomeriggio del 12 marzo 1952.
L’ordine dato agli equipaggi era, nel caso avessero preso siluri o ordigni di elevata potenzialità, d’abbandonarli lontano in acque profonde, anche, se necessario tagliando le reti.
L’esplosione fu potente e fece crollare un larghissimo tratto della scogliera di Massoliveri; le vittime di questa tragedia: Sebastiano Bordato, Francesco Bandiera, Egidio Cappuccio, Angelo Cappuccio, Francesco Mincella, Angelo Mincella, Angelo Romeo, Salvatore Lentinello, Corrado Caldarella. Unico sopravvissuto Sebastiano Veneziano (scomparso nel 1980).
Ricordo che i loro nomi e le loro foto erano sul quotidiano LA SICILIA che all’epoca costava £ 25 e l’uomo che con la sua bicicletta girava la città vendendo giornali quei giorni fece gli straordinari.
Questo post a ricordo di questi sfortunati marinai; anche le loro famiglie al danno s’aggiunse la beffa. Riportano le cronache che fu intentata una causa per il risarcimento nei confronti dell’impresa Castaldi, ma il verdetto di condanna fu reso vano per il fallimento della stessa impresa.
La bara del cap. Francesco Bandiera (da I SIRACUSANI marzo-aprile 1998)