mutuo soccorso naviganti
L'Istituto nautico ultima speranza di una futura rinascita
Chiude la Società di mutuo soccorso tra i naviganti
Giovanna Megna
Tratto da: "I SIRACUSANI" n.35 anno VII Gennaio Febbraio 2002
L'Istituto nautico ultima speranza di una futura rinascita
Chiude la Società di mutuo soccorso tra i naviganti
Giovanna Megna
Tratto da: "I SIRACUSANI" n.35 anno VII Gennaio Febbraio 2002
Giovanna Megna
Tratto da: "I SIRACUSANI" n.35 anno VII Gennaio Febbraio 2002
L'Istituto nautico ultima speranza di una futura rinascita
Chiude la Società di mutuo soccorso tra i naviganti
Giovanna Megna
Tratto da: "I SIRACUSANI" n.35 anno VII Gennaio Febbraio 2002
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Nella foto il veliero Raffaelina Madre, affondato nel canale di Procida il 22.10.1935. Nel naufragio perirono il capitano armatore Luciano Storaci (50 anni), il mozzo Rosario Storaci (15 anni, figlio del capitano), i marinai Sebastiano Cassia (53 anni) e Sebastiano Cocola (25 anni). Unico superstite il nostromo Settimo Carruba (45 anni).
L'origine delle organizzazioni marinare di Siracusa coincide con la volontà di alcuni regnanti di restituire prestigio e centralità commerciale al porto di Siracusa. Già Federico III, nel 1301, ordinò che qualsiasi merce e vettovaglia appartenente all'ampio litorale di Siracusa, doveva essere imbarcata o sbarcata solamente nel porto della città. A conferma di tale ordinanza, nel 1392 re Martino I, figlio di Martino il Vecchio d'Aragona, emanò un dispaccio reale con cui si vietava che si caricassero bastimenti fuori del porto di Siracusa. Si pensa, pertanto, che, grazie a questi impulsi per il rilancio del traffico marittimo in Siracusa, siano sorte molte organizzazioni marinare. Fra queste, quella che ha maggiormente rappresentato il simbolo della marineria siracusana, è la Congregazione dei Naviganti "Portus Salutis", sorta nel 1397, come testimonia l'Art. 1 dello Statuto compilato nel 1892 con cui si trasforma la Congregazione in Società di Mutuo Soccorso fra i Naviganti di Siracusa. Lo stesso Statuto definisce gli scopi della Società basati, soprattutto, sul miglioramento della condizione morale, economica e intellettuale dei soci: aiuti e sussidi di ogni genere sono previsti anche ai familiari dei soci naviganti a testimonianza del forte senso di fratellanza e umanità che lega fra loro gli uomini di mare. Regole vengono stabilite per le riunioni relative agli affari commerciali di Siracusa, punto di fondamentale importanza per tutta l'attività della Società. Ma ciò che maggiormente colpisce di questo documento e che, probabilmente ha dato senso e valore all'attività secolare della Società [stessa sono i requisiti indispensabili che ogni socio deve avere: la sobrietà, l'onestà e la laboriosità (art. 21. p. 6). Infatti, nei secoli gli uomini della marineria [siracusana hanno compiuto con disciplina e forte senso | del dovere il loro lavoro, ora nelle vesti di pacifici marinai I mercantili, ora investiti di mansioni militari in periodi I di guerra. Nel '600, traffici commerciali intensi vengono registrati, come testimoniano alcuni contratti di noleggio delle imbarcazioni della marineria di Portus Salutis. Nel 11632 Pascalis Rodante, proprietario di una feluca, (noleggia la sua imbarcazione a mastro Vincenzo Misuratore per navigare dalla terraferma fino allo scalo Idi Ognina ed Asparano. Nel 1638, Francisco Rodanti, I proprietario della fregata Santa Maria di Porto Salvo, [effettua un viaggio per terzi da Pozzallo a Sorrento I esportando "carrubi di Scicli" e formaggi per poi andare |a Malta a caricare "i butti carratelli".
Tutto ciò testimonia la grande importanza economica e commerciale che la Congregazione aveva per Siracusa. Insieme a questa instancabile "laboriosità", sono da rilevare gli atti di eroismo e di coraggio tramandati nei secoli con orgoglio e spirito di solidarietà propria della gente di mare, ma anche di uomini che hanno forte il senso della Patria e della Fratellanza. Nell'anno 1837, secondo la ricostruzione attualmente più accreditata, hanno partecipato attivamente alla rivolta antiborbonica, [durante la quale le squadriglie di marinai capeggiati dal navigante Silvestro Sollecito, impedirono a fucilate lo sbarco dei fanti e di marinai inviati dal governo borbonico, mostrando così un forte amor di Patria contro Ile angherie dello "straniero". La ricostruzione di questa vicenda effettuata dall'archivista Giuseppe Rodante, fra gli ultimi superstiti della società, non coincide con quella ufficiale. Egli sostiene che la sommossa prese l'avvio per dare sfogo ai rancori che si covavano contro le autorità locali di quel periodo (a volte anche questo è amor di patria), le quali lasciavano languire gli equipaggi mercantili in contumacia durante il colera, come dimostra, effettivamente, un documento del 14 luglio del 1837. Comunque siano avvenuti i fatti, la marineria pagò a caro prezzo: cinque marinai furono fucilati e altri 54 furono condannati, tanto che la Società dei Naviganti fu condotta ad un inesauribile declino.
Una lenta ripresa commerciale si registrò fino al 1858: alle esportazioni dell'olio, delle olive, delle mandorle e delle carrube, nonché ai traffici del sale marino esportato dalle saline di Magnisi ad Augusta, si aggiunse l'esportazione del vino, diffuso fino ai porti del napoletano, anche se non sono da escludere traffici a livello internazionale. D'altra parte è da considerare che l'intera isola era, in quegli anni, in stretti rapporti commerciali con l'ambito europeo e soprattutto inglese, grandi consumatori di vino, che fin dal '600 erano i più grossi acquirenti di vino nei porti della Sicilia orientale (Messina, Giarre, Siracusa).
I traffici di importazione ed esportazione intrapresi dai Naviganti della Marineria siracusana, diedero impulsi nuovi all'economia siracusana e al movimento commerciale del porto tanto da fare di Siracusa, il terzo porto dopo quello di Palermo e di Messina.
Tuttavia, non vi furono grossi guadagni se, nel 1878, la Chiesa di Maria SS. Di Porto Salvo, edificata nel 1596 dagli stessi naviganti a testimonianza del forte spirito religioso che li animava, fu venduta allo Stato per la costruzione della dogana tramite la sottoscrizione di un debito pubblico pari a quindicimila lire e per importo di 950 lire di interesse annuo.
nella foto il capitano Ciuseppe Gaetano Rodante durante la cerimonia di consegna del gonfalone e dei cimeli della Congregazione all'Istituto Tecnico Nautico.
Una lenta ripresa commerciale si registrò fino al 1858: alle esportazioni dell'olio, delle olive, delle mandorle e delle carrube, nonché ai traffici del sale marino esportato dalle saline di Magnisi ad Augusta, si aggiunse l'esportazione del vino, diffuso fino ai porti del napoletano, anche se non sono da escludere traffici a livello internazionale. D'altra parte è da considerare che l'intera isola era, in quegli anni, in stretti rapporti commerciali con l'ambito europeo e soprattutto inglese, grandi consumatori di vino, che fin dal '600 erano i più grossi acquirenti di vino nei porti della Sicilia orientale (Messina, Giarre, Siracusa).
I traffici di importazione ed esportazione intrapresi dai Naviganti della Marineria siracusana, diedero impulsi nuovi all'economia siracusana e al movimento commerciale del porto tanto da fare di Siracusa, il terzo porto dopo quello di Palermo e di Messina.
Tuttavia, non vi furono grossi guadagni se, nel 1878, la Chiesa di Maria SS. Di Porto Salvo, edificata nel 1596 dagli stessi naviganti a testimonianza del forte spirito religioso che li animava, fu venduta allo Stato per la costruzione della dogana tramite la sottoscrizione di un debito pubblico pari a quindicimila lire e per importo di 950 lire di interesse annuo.
nella foto il capitano Ciuseppe Gaetano Rodante durante la cerimonia di consegna del gonfalone e dei cimeli della Congregazione all'Istituto Tecnico Nautico.
Gonfalone della Società di Mutuo Soccorso fra i Naviganti affidato all'Istituto Nautico "G.A. della Targia" il 25 marzo 1995.
Le guerre mondiali diedero alla Società il colpo fatale: i marinai, da pacifici mercanti divennero guerrieri, protagonisti di tante vicende belliche.
Il naviglio si assottigliò notevolmente e tanti uomini sacrificarono la loro vita. Anche in queste tristi vicende, i naviganti di Siracusa diedero prova del loro forte senso del dovere e del loro coraggio. Si racconta che durante la seconda guerra mondiale, il cap. Giuseppe Midolo, armatore del m/v "Eraldo" avvistò nelle acque di Capo Spartivento, presso Cagliari, un sommergibile inglese e l'affrontò per speronarlo, costringendolo alla fuga. Tutto l'equipaggio, per questo atto di eroismo, fu encomiato e decorato al valore.
Durante il periodo della ricostruzione postbellica, i superstiti marinai si riorganizzarono recuperando, ove possibile, i loro natanti affondati o danneggiati. Costruirono, così, una piccola flotta di barchette chiamate "pellezzare" ad indicare le riparazioni di fortuna fatte a questi natanti: le vele furono recuperate da vecchi teloni di camion, da tende militari, da paracadute; per gli alberi furono utilizzati i pali telegrafici; i motori ausiliari furono sostituiti da quelli dei camion e dei carri armati.
Furono proprio le "pellezzare" ad avviare un intenso traffico di contrabbando tra Malta e Siracusa che servì, soprattutto, a risollevare le sorti della Società.
Nel 1948 ancora una volta i naviganti siracusani diedero prova del loro spirito di avventura e del loro coraggio, assumendosi, in tutta segretezza, la responsabilità di una missione difficile ma di alto valore morale: tale missione prevedeva che si salvassero centinaia di profughi ebrei raccolti nelle coste della Tripolitania e che, clandestinamente, si trasportassero nel litorale siracusano per poi essere avviati a Roma nei centri di raccolta organizzati da una donna ebrea, Ada Sereni. Come ricorda il cap. Giuseppe Rodante, uno dei protagonisti di questa spedizione eroica, pur essendo consapevoli dell'alto rischio per la vita, l'entusiasmo dei naviganti era alle stelle, tanto che si rinvigorì quell'innato spirito marinaresco un po' sopito dalla inesauribile decadenza della Società. Tutte le operazioni di salvataggio ebbero successo e presto gli ebrei salvati poterono raggiungere la terra di Israele.
C'è però un altro aspetto da esplorare nella storia dell'antica Congregazione Portus Salutis, ed è quella propriamente religiosa e di devozione. La Congregazione costruì, infatti, quale luogo di culto, nel 1596 la chiesa di Maria SS. di Porto Salvo ubicata nei pressi della Porta della Marina. I fondi per la costruzione della chiesa furono totalmente raccolti grazie alle offerte degli esponenti della marineria del tempo: è questa la più alta testimonianza della fede degli uomini di mare i quali manifestavano la necessità di pregare prima della partenza e al loro ritorno e, pertanto, di avere un proprie luogo di preghiera. Nel volume ottavo, pagina 522, degli annali del Capodieci, custoditi nella biblioteca alagoniana, si legge: "Si termina la nuova chiesa della Madonna di Porto Salvo dentro la Marina, dove fuorvi apposta in memoria una iscrizione incisa in marmo sopra la finestra della suddetta Chiesa che guarda il Porte Clemente Vili et Philippo Hispaniorum et Siciliae Reg Catholico, Dei parae Virgini Mariae a Portu Salvo e Divae Marghritae arca traslatae, nautae prosperai navigationem precante, Ecclesiam collato aer> aedificavere, currentibus anno Domini MDLXXXXVI Per molti secoli fu il luogo di culto e di devozione d marinai siracusani. Ma nel 1878, fu venduta al demanio dello Stato per la costruzione della Dogana. Oscure furono le vicende che portarono alla vendita della chiesa anche se in un verbale del 4 Giugno 1872 dove vie discussa la proposta di cedere alla Intendenza di Finanza la chiesa, si legge: "è stato osservato che la Chiesa attui ha bisogno di grandi riparazioni, molto superiori ai me di cui la Congregazione dispone; che la cessione del locale avendo luogo mercè un canone (quindicimila lire del tempo e 950 lire di interesse annuo!), darebbe alla Congregazione l'agio di meglio provvedere a sussidi per confrati invalidi e ammalati ". Alla notizia della vendita e della conseguente distruzione della chiesa, l'Arcivescovo del tempo, mons. Benedetto La Vecchia protestò animosamente sottolineando che "i luoghi sacri son fuori commercio, d'ogni umano possesso, dominio o proprietà " e, pertanto, "il giure ecclesiastico concede ai fondatori di Chiese il diritto onorifico del patronato, ma non riconosce in essi alcun diritto di proprietà". La protesta non fu ascoltata e, anzi, fu subito ribattuta con una lettera dell'Intendente di Finanza dove ricorda all'Arcivescovo che altre chiese furono alienate in passato e che la Congregazione avrebbe continuato a praticare il culto in altra chiesa.
Negli annali del Capodieci, inoltre è scritto che nella chiesa di Porto Salvo vi era una cappella "in cui vi si conserva una antichissima Statua di legno di S. Lucia V. e M. che soleasi portare dal Senato in processione fuori le mura pria del farsi quella di argento ".
Durante il periodo della ricostruzione postbellica, i superstiti marinai si riorganizzarono recuperando, ove possibile, i loro natanti affondati o danneggiati. Costruirono, così, una piccola flotta di barchette chiamate "pellezzare" ad indicare le riparazioni di fortuna fatte a questi natanti: le vele furono recuperate da vecchi teloni di camion, da tende militari, da paracadute; per gli alberi furono utilizzati i pali telegrafici; i motori ausiliari furono sostituiti da quelli dei camion e dei carri armati.
Furono proprio le "pellezzare" ad avviare un intenso traffico di contrabbando tra Malta e Siracusa che servì, soprattutto, a risollevare le sorti della Società.
Nel 1948 ancora una volta i naviganti siracusani diedero prova del loro spirito di avventura e del loro coraggio, assumendosi, in tutta segretezza, la responsabilità di una missione difficile ma di alto valore morale: tale missione prevedeva che si salvassero centinaia di profughi ebrei raccolti nelle coste della Tripolitania e che, clandestinamente, si trasportassero nel litorale siracusano per poi essere avviati a Roma nei centri di raccolta organizzati da una donna ebrea, Ada Sereni. Come ricorda il cap. Giuseppe Rodante, uno dei protagonisti di questa spedizione eroica, pur essendo consapevoli dell'alto rischio per la vita, l'entusiasmo dei naviganti era alle stelle, tanto che si rinvigorì quell'innato spirito marinaresco un po' sopito dalla inesauribile decadenza della Società. Tutte le operazioni di salvataggio ebbero successo e presto gli ebrei salvati poterono raggiungere la terra di Israele.
C'è però un altro aspetto da esplorare nella storia dell'antica Congregazione Portus Salutis, ed è quella propriamente religiosa e di devozione. La Congregazione costruì, infatti, quale luogo di culto, nel 1596 la chiesa di Maria SS. di Porto Salvo ubicata nei pressi della Porta della Marina. I fondi per la costruzione della chiesa furono totalmente raccolti grazie alle offerte degli esponenti della marineria del tempo: è questa la più alta testimonianza della fede degli uomini di mare i quali manifestavano la necessità di pregare prima della partenza e al loro ritorno e, pertanto, di avere un proprie luogo di preghiera. Nel volume ottavo, pagina 522, degli annali del Capodieci, custoditi nella biblioteca alagoniana, si legge: "Si termina la nuova chiesa della Madonna di Porto Salvo dentro la Marina, dove fuorvi apposta in memoria una iscrizione incisa in marmo sopra la finestra della suddetta Chiesa che guarda il Porte Clemente Vili et Philippo Hispaniorum et Siciliae Reg Catholico, Dei parae Virgini Mariae a Portu Salvo e Divae Marghritae arca traslatae, nautae prosperai navigationem precante, Ecclesiam collato aer> aedificavere, currentibus anno Domini MDLXXXXVI Per molti secoli fu il luogo di culto e di devozione d marinai siracusani. Ma nel 1878, fu venduta al demanio dello Stato per la costruzione della Dogana. Oscure furono le vicende che portarono alla vendita della chiesa anche se in un verbale del 4 Giugno 1872 dove vie discussa la proposta di cedere alla Intendenza di Finanza la chiesa, si legge: "è stato osservato che la Chiesa attui ha bisogno di grandi riparazioni, molto superiori ai me di cui la Congregazione dispone; che la cessione del locale avendo luogo mercè un canone (quindicimila lire del tempo e 950 lire di interesse annuo!), darebbe alla Congregazione l'agio di meglio provvedere a sussidi per confrati invalidi e ammalati ". Alla notizia della vendita e della conseguente distruzione della chiesa, l'Arcivescovo del tempo, mons. Benedetto La Vecchia protestò animosamente sottolineando che "i luoghi sacri son fuori commercio, d'ogni umano possesso, dominio o proprietà " e, pertanto, "il giure ecclesiastico concede ai fondatori di Chiese il diritto onorifico del patronato, ma non riconosce in essi alcun diritto di proprietà". La protesta non fu ascoltata e, anzi, fu subito ribattuta con una lettera dell'Intendente di Finanza dove ricorda all'Arcivescovo che altre chiese furono alienate in passato e che la Congregazione avrebbe continuato a praticare il culto in altra chiesa.
Negli annali del Capodieci, inoltre è scritto che nella chiesa di Porto Salvo vi era una cappella "in cui vi si conserva una antichissima Statua di legno di S. Lucia V. e M. che soleasi portare dal Senato in processione fuori le mura pria del farsi quella di argento ".
Statua lignea di Santa Lucia, custodita nella chiesa di Santa Maria della Consolazione a Belvedere, nella quale i naviganti hanno sempre visto la loro "antichissima Statua di legno di S. Lucia V. e M. che soleasi portare dal Senato in processione fuori le mura pria del farsi quella di argento" (Foto Daniele Aliffi).
Inconfutabile, dunque, la presenza della statua di legno di Santa Lucia nella chiesa di Porto Salvo: eppure nessuno vuole riconoscerne i diritti di proprietà. La statua, infatti, andò smarrita, insieme a tutto il corredo, paramenti ecclesiastici e il magnifico gonfalone donato ai marinai nel '400 dalla Regina di Spagna, come giusto riconoscimento del salvataggio di una nave spagnola all'imboccatura del porto. Mentre per il gonfalone le ricerche non hanno condotto a nulla di concreto, quelle per la Statua lignea di Santa Lucia hanno condotto alla chiesa di SS. Maria della Consolazione a Belvedere. L'archivio della società è andato quasi completamente distrutto e non è stato possibile, pertanto, dimostrare la proprietà della statua da parte dei naviganti. Di contro i parroci che si sono susseguiti alla chiesa di Belvedere non hanno saputo dare notizie circa la provenienza della statua stessa.
La Società di Mutuo Soccorso fra i Naviganti di Siracusa è ormai alla fine della sua lunga e travagliata "storia di mare". Gli ultimi soci superstiti (Giuseppe Rodante, Francesco Castagnino, Antonio Randazzo, Domenico Incardona, Francesco Saccuzzo, Gino Valentino) sono gli eredi di questa indimenticabile tradizione che, per mancanza di fondi e di soci che possano far rinascere la società, hanno deciso di donare alcuni oggetti, gelosamente custoditi, all'Istituto Tecnico Nautico di Siracusa e, il 30 settembre 1997, di chiudere, dopo 600 anni, la Società stessa. Dal verbale di chiusura (n. 120 del 30-09-97) si leggono amare parole di commiato: "Si chiude... per l’impossibilità di poterci autonomamente sostenere nel pagare la pigione del locale... per il miserevole numero dei soci. Ci coglie un grande imbarazzo e dolore, per essere noi, gli ultimi discendenti e superstiti, ad essere protagonisti di tale triste evento". Ma la Società dei Naviganti, sottolinea l'avv. Corrado Piccione, non può per suo statuto (art. 72 dello Statuto della Società di M.S. fra i naviganti di Siracusa, 1892) essere sciolta "nemmeno per volontà della maggioranza". Essa, allora, proseguirà nominalmente nell'ambito dell'Istituto nautico ove vengono riposte, da parte dei superstiti, le ultime speranze di una futura rinascita