Latomia del Paradiso
Latomia del Paradiso
Siracusa, la Latomia del Paradiso.
La Latomia del Paradiso, nome coniato dagli illustri viaggiatori dell’800, si trova sull’altopiano calcareo del Colle Temenite, ad est dell’antica Cavea del teatro greco e ad ovest al confine con l’antica Akradina.
Dal racconto dello storico Tucidide si rileva che fu utilizzata come prigione degli ateniesi sconfitti da Gilippo nel 413 a. C.
Con molta probabilità, Ierone II fece estrarre dalla Cava i conci utilizzati per la sua grandiosa Ara e il rifacimento della parte superiore del Teatro e del Ninfeo.
La Latomia, interessata da un’attività estrattiva plurimillenaria documentata, in alcuni punti è profonda circa 45 metri e si estende, quasi interamente all’aperto, circondata da pareti di roccia verticali o strapiombanti alte da 10 a 40 metri, per circa 240.000 metri quadrati.
Storici e archeologi ipotizzano un primo utilizzo nel settore meridionale come cava a mezzacosta e il successivo sviluppo verso nord-est in sotterraneo.
Ad ovest, sull’alta parete rocciosa al di sopra delle grotte, a) del Salnitro, b) dei Cordari, C) e Orecchio di Dionigi, sono evidenti tracce costituite da vari attacchi in parete.
In origine, era parzialmente coperta a volta, come dimostrano gli enormi blocchi isolati che si ergono al centro e presso le pareti nord-est e nord-ovest, all’interno della grotta dei Cordari e quelli caduti adiacenti alla grotta del Salinitro.
Tra le Grotte, la più nota è la Grotta della Favella, meglio conosciuta come Orecchio di Dionisio, il cui nome, dagli storici viene attribuito al Caravaggio, il quale, avrebbe identificato la struttura a forma di padiglione auricolare e alle straordinarie caratteristiche acustiche di ampliamento dell’eco e dei suoni.
La parte sommitale a sezione rettangolare sembra che sia un condotto idrico dal quale sarebbe stata iniziata l’estrazione dopo la realizzazione di un altro canale parallelo al primo poi entrambi interrotti dall’estrazione di blocchi sulla parete a discesa e la conseguente apertura dell’attuale ingresso.
La particolare conformazione e la tecnica usata per il prelievo in filari dei conci dalle pareti in alto per oltre 33 metri, suggeriscono scavi a partire dall’alto da un preesistente sifone naturale trasformato in una grande cisterna e in seguito sfruttato come cava.
L’ingresso dell’Orecchio di Dionisio, scavato nell’angolo ovest adiacente al Ninfeo e alla Cavea del Teatro Greco, alto al vertice metri 17,6, si sviluppa all’interno, seguendo alla base per oltre 52 metri, un percorso a forma di esse a larghezza variabile fra 5 e 11 metri, come risulta dalla pianta di Maria Amalia Mastelloni, e dalla base si sviluppano in altezza le pareti laterali che convergono ad imbuto al vertice alto metri 33 circa.
Una leggenda metropolitana attribuisce a Dionisio l’improprio e impossibile edificio in alto da dove avrebbe ascoltato i dialoghi dei prigionieri.
Poco distante, in alto, sulla stessa parete del settore ovest, in prossimità della grotta dei Cordari, c’è una galleria ipogea con ambienti riusati come sepolture in epoca romana.
La grotta dei Cordari.
La grotta dei Cordari venne scavata in sotterranea sul versante centrale a nord della Latomia alla ricerca di blocchi di calcare bianco a grana fine più adatto alla edificazione di edifici e i monumenti più importanti.
È un enorme antro umido con le pareti tappezzate di muschio e di capelvenere e, deve il nome, alla secolare attività, iniziata subito dopo il disastroso terremoto del 1693 che distrusse anche gran parte della Latomia, agli artigiani produttori di corde intrecciate con la Canapa, in dialetto detta cannu, intensivamente coltivata nelle nostre campagne sino alla fine del secolo scorso.
L'ultimo Cordaro fu Don Nunzio, al secolo Vincenzo Ambrogio, classe 1919, il quale svolse l'attività fino a novembre del 1984, quando la grotta fu dichiarata inagibile per pericolo di crolli.
L’ingresso a forma di tenda e l’attuale conformazione dell’interno, con tracce di prelievo di blocchi isodomi di notevoli dimensioni, rettilinei e forse alcuni anche arcuati, rilevabili dalle tracce rimaste nei cieli delle diverse zone della grotta e nelle pareti dove rimangono tracce di blocchi di parallelepipedi lineari, fanno pensare a prelievi estrattivi a più riprese, confermati dalla conformazione della volta sorretta da enormi pilastri risparmiati, simili a gigantesche stalattiti, i quali, da un esame statico risulterebbero non determinanti per il sostegno.
La grotta del Salnitro.
La grotta del Salnitro, adiacente alla grotta dei Cordari, scavata anch’essa in sotterranea per estrarre il materiale più idoneo, e dalla quale furono estratti blocchi isodomi di circa 15 m di spessore, deve il nome al Salnistro, materiale un tempo usato per la preparazione di polvere da sparo composta con il 70% di Salnitro, carbonella e zolfo.
L’ingresso conserva la forma a tenda ed è caratterizzata da un fondo piatto e volta perfettamente squadrata sorretta da pilastri risparmiati, uno dei quali, quello a sinistra, è inclinato verso il centro, a seguito di cedimento della base e ad una rotazione di oltre 30°.
Adiacente all’ingresso, a sinistra è riconoscibile la sagoma di un pilastro caduto sulla cui sommità rimangono tracce di ambienti e brandelli di murature con malta, pietrisco e parti di blocchi isodomi.
Secondo lo storico Giacomo Bonanni, nelle adiacenze, c’era la Latomia del Barbuto o di San Nicolò, ipotesi che sembrerebbe confermata dai recenti ritrovamenti giacenti al di sopra di livelli genericamente definiti medievali, a circa 9 metri al di sotto del piano di campagna, alla quale potrebbe appartenere il pilastro di calcare rimasto al centro dell’area, il quale, non percorribile, presenta facce molto irregolari e con ampie lacune, simile a quello caduto e riverso ad est.
Sebbene manchi una massa identificabile come cielo della grotta il fatto che il pilastro raggiunga un’altezza coerente con il pilastro, parzialmente crollato, risparmiato tra le grotte dei Cordari e del Salnitro, col piano su cui si è rilevata la necropoli e col piano del diaframma tra le latomie, sembra giustificare la sua lettura come sostegno risparmiato di una grande cavità, forse collegata alle pareti a nord e con ulteriori sostegni a ovest.
Ad est nella parte occidentale è evidente un percorso che sale verso l’alto e a metà si rileva un vuoto, forse fondo di una grotta o di una cisterna collegata all’antico acquedotto chiamato del Paradiso, il quale percorreva per quasi tutta la lunghezza l’antica via Epipoli per poi immettersi agli impianti idraulici della città.
L’antica via Epipoli per quasi tutta la sua lunghezza seguiva lo stesso percorso idraulico dell’antico acquedotto chiamato del Paradiso.
Attraverso una moderna galleria scavata nell’antico diaframma calcareo, dalla Latomia del Paradiso si accede alla limitrofa Latomia dell’Intagliatella che quasi certamente fu luogo utilizzato anche per riti sacri.
Tra le due Latomie è risparmiato un passaggio dell’antica strada di proveniente da nord ovest che collegava l’Epipole agli altri quartieri e alla principale strada di accesso alla città, da nord, tramite la porta monumentale dell’Exapylon, un tempo sul costone roccioso all’inizio dell’attuale viale scala greca.
Dalla Latomia dell’Intagliatella, attraverso un arco scavato nella roccia, si accede alla Latomia di Santa Venera, arricchita da una lussureggiante e ricca vegetazione subtropicale e un secolare, Ficus-Macrophylla di notevoli dimensioni.
Sulle pareti più orientali le numerosissime nicchiette votive e i resti rinvenuti, in varie epoche in piccole cavità scavate ai piedi della parete documentano le libazioni e i piccoli sacrifici rituali.
La vasta collezione di foto antiche, quadri di artisti antichi e moderni, disegni, racconti e documenti tramandati dai viaggiatori del Gran Tour testimoniano, se ce ne fosse bisogno, la magnificenza di questo tesoro di una delle più antiche città d’Italia come e al pari di Roma.